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Perché con mascherine e distanziamento l’influenza è sparita e il coronavirus no

La tendenza osservata a livello globale è evidenziata anche in Italia dai dati del sistema di monitoraggio dell’influenza: su oltre 1.000 campioni analizzati dall’inizio della sorveglianza, nessuno è risultato positivo al virus influenzale ma circa 200 si sono rivelati positivi a Sars-CoV-2. Un dato che indica come le misure anti-contagio stiano funzionando perfettamente contro l’influenza ma molto meno nei confronti di Covid-19. Ecco perché.
A cura di Valeria Aiello
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L’incidenza di casi di influenza stagionale è al di sotto degli anni precedenti. La tendenza segnalata a livello globale dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (“L’attività influenzale è a livelli inferiori alle attese per questo periodo dell’anno” si legge nell’ultimo report dell’OMS), è evidente anche in Italia, dove i dati del monitoraggio epidemiologico InfluNet gestito dall’Istituto Superiore di Sanità indicano che l’incidenza di sindromi simi-influenzali è stabilmente al di sotto della soglia di base, con zero nuovi casi segnalati. In particolare, su un totale di 1.450 campioni clinici analizzati dall’inizio della sorveglianza, nessuno è risultato positivo a virus influenzali anche se, l’analisi di questi stessi campioni, ha rivelato la presenza di 201 casi di positività al coronavirus Sars-Cov-2.

Perché l'influenza stagionale è sparita e il coronavirus no

Un dato, che sebbene parziale e non rappresentativo dell’intero territorio nazionale (le province autonome di Bolzano e Trento, così come la Sardegna, la Campania e la Calabria non hanno attivato la sorveglianza a causa della pandemia) indica che la temuta sovrapposizione di Covid-19 e influenza stagionale non si sta verificando. E, soprattutto, che le norme di igiene e di contrasto della pandemia, come il distanziamento interpersonale e l’uso delle mascherine, stanno fermando la diffusione dei virus influenzali ma non quella di Sars-Cov-2 che, nonostante tutto, continua a circolare. Gli attualmente positivi, secondo l’ultimo bollettino, sono oltre 560mila, con un incremento quotidiano di contagi che si aggira attorno ai 15mila casi al giorno.

Pare quindi ormai chiaro che Covid-19 non è affatto poco più di un’influenza e che le norme anti-contagio sembrano funzionare perfettamente contro i virus influenzali ma molto meno nei confronti di Sars-Cov-2. Cosa sta succedendo? E perché le stesse misure non hanno uguale efficacia?

Una risposta a questa domanda è semplicemente perché i virus dell’influenza sono molto meno contagiosi del coronavirus di Covid-19. Una misura approssimativa della loro contagiosità è data dall’indice R0 (erre con zero), il numero di riproduzione di base che indica quante persone possono essere contagiate da un individuo infetto in una popolazione mai venuta a contatto con il nuovo patogeno. È dunque il parametro che misura la potenziale trasmissibilità di una malattia infettiva e che, da quando il nuovo coronavirus Sars-Cov-2 è emerso in Cina, l’OMS e diversi istituti di ricerca hanno cominciato a calcolare, stimando un R0 compreso tra 1,4 e 3,8 nelle aree più colpite dalla prima fase della pandemia.

Un valore che, alla luce della maggiore contagiosità delle nuove varianti emerse nel Regno Unito, Sudafrica e Giappone, potrebbe essere tra lo 0,4 e lo 0,7 più alto rispetto alla versione del virus originario. In altre parole, l’R0 di alcuni ceppi di coronavirus potrebbe addirittura superare il valore di 4, rientrando nella forbice stimata per un altro coronavirus, quello dell’epidemia di Sars del 2002-2004, che ha un R0 compreso tra 2 e 5.

In confronto, per i ceppi di influenza stagionale, l’indice R0 è stimato tra 0,9-2,1, pertanto un valore medio più volte inferiore a quello dei coronavirus, compreso Sars-Cov-2, cui di conseguenza corrisponde un più basso rischio di diffusione. Come sappiamo, le misure di controllo possono influenzare la probabilità di trasmissione, riducendo di fatto l’indice di contagio, una differenza espressa da un altro indice, l’Rt (erre con ti), ormai noto perché monitorato costantemente per valutare l’evoluzione della pandemia nei diversi contesti.

Oltre a ciò, tornando ad analizzare i motivi per cui l’attività influenzale è al di sotto dei normali livelli stagionali, non si può non tenere conto dell’intesa campagna di vaccinazione che si è svolta lo scorso autunno. Negli Stati Uniti, ad esempio, dove la percentuale di visite ambulatoriali per patologie simil-influenzali è dell’1,6% (cioè al di sotto della media 2,6% delle passate stagioni) le autorità governative hanno riportato una distribuzione record di vaccini antinfluenzali, con un tasso di copertura salito dal 42% del 2019 al 53% del 2020. Questo aumento sta probabilmente determinando la bassa incidenza di casi e, più in generale, un’attività influenzale inferiore agli anni precedenti, ulteriormente attenuata dalle misure di prevenzione del contagio che, come detto, stanno contribuendo a contrastare la trasmissione virale.

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