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Pandemie influenzali e Nina: esiste un legame?

Due ricercatori statunitensi avanzano l’ipotesi che tra il fenomeno oceanico periodico denominato Nina e il diffondersi di grandi pandemie potrebbe esserci un rapporto di causa effetto: il legame sarebbe nell’alterazione delle rotte migratorie degli uccelli.
A cura di Nadia Vitali
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Due ricercatori statunitensi avanzano l ipotesi che tra il fenomeno climatico periodico denominato Nina e il diffondersi di grandi pandemie potrebbe esserci un rapporto di causa effetto, il legame sarebbe nell'alterazione delle rotte migratorie degli uccelli.

Nello studio, pubblicato dall'autorevole rivista Proceedings of the National Academy of Science, i ricercatori statunitensi Jeffrey Shaman della Columbia University e Marc Lipsitch di Harvard muovono da un'osservazione relativa alle pandemie influenzali che si sono abbattute su diverse aree del pianeta nel corso del XX secolo; l'influenza spagnola che nel biennio 1918-1919 uccise milioni di persone, l'influenza asiatica che fece 70 000 morti nel 1957-1958, l'influenza di Hong Kong, 34 000 vittime tra il 1968 ed il 1969 e, ultima, l'influenza suina rilevata per la prima volta nel 2009, erano state tutte precedute dal passaggio della Niña.

La Niña è la componente oceanica associata ad un fenomeno climatico, a tutt'oggi oggetto di numerosi studi, che si verifica nell'Oceano Pacifico centrale, con un intervallo di tempo che in media si aggira intorno ai cinque anni, denominato ENSO; la sua «controparte» è el niño. La prima raffredda le correnti oceaniche il secondo ne alza le temperature; ad essi corrispondono cambiamenti di pressione sulle medesime aree.

Stando all'ipotesi dei ricercatori questa «coincidenza» potrebbe non essere considerata tale: la Niña e le grandi pandemie influenzali sarebbero strettamente connesse tra loro in un rapporto di causa-effetto che avrebbe nei flussi migratori animali l'anello di congiunzione. I cambiamenti climatici causati dal fenomeno, infatti, avrebbero delle influenze sulle rotte seguite dagli uccelli, normalmente riconosciuti come vettori patogeni dei virus.

I volatili muterebbero la direzione abitualmente seguita tendendo, viceversa, ad affollarsi tutti nelle medesime zone del pianeta originando una possibile concentrazione di diversi ceppi che favorirebbe un rafforzamento del genoma del virus, rendendo quest'ultimo più aggressivo; inoltre, cambierebbe la modalità di relazione degli uccelli con altre specie animali, andando a creare una pericolosa interazione come si è verificato nel 2009 con la H1N1.

L'ipotesi, per quanto affascinante, al momento resta tale: la correlazione tra i due eventi, per quanto probabile, non è accertata. Se così fosse, tuttavia, lo studio potrebbe costituire una base interessante per le ricerche sulle pandemie, comunemente giudicate come un fenomeno casuale e, certamente, non prevedibile attraverso l'osservazione dei fenomeni climatici.

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