Nuovi scheletri in Kenya potrebbero riscrivere la storia di “Homo”
Gli ultimissimi anni sono stati caratterizzati da una serie di scoperte sensazionali nell’ambito della paleontologia. Tra le tante, alcune hanno già portato a una completa riscrittura della storia del genere umano: è il caso della scoperta dell’australopiteco Sediba, in Sudafrica, che retrodaterebbe significativamente l’inizio dell’evoluzione degli ominidi, e della conferma proveniente dalla genetica per cui gli Homo Sapiens e i Neanderthal si sarebbero incrociati alcune decine di migliaia di anni fa. La nuova scoperta ora viene dal Kenya e, dopo la pubblicazione sulla rivista Nature, ha già fatto in questi giorni il giro del mondo. Parliamo di Homo rudolfensis, finora considerato parte della specie Homo, e che invece potrebbe rivelarsi una specie a parte.
L'identikit di H. Rudolfensis
H. rudolfensis fu scoperto nel 1972 in Kenya: ne venne rivenuto un teschio quasi completo, con l’eccezione dei denti e della mandibola. Due elementi non da poco, perché i paleontologi li considerano le “impronte digitale” degli scheletri dei nostri antenati. Il cranio, tuttavia, possedeva elementi interessanti: la lunga faccia piatta e la scatola cranica molto ampia erano particolari che differenziavano il ritrovamento, avvenuto sulle rive del lago Turkana (ex lago di Rodolfo durante la dominazione coloniale tedesca), da quelli degli altri membri della specie Homo. Già allora qualcuno disse che si era di fronte a una specie del tutto ignota fino a quel momento e diversa dal contemporaneo H. habilis a cui il cranio avrebbe dovuto, a rigor di logica, appartenere, essendo risalente a circa 2 milioni di anni fa.
Qualche anno fa, la svolta. Dopo aver setacciato per anni le rive del lago, i paleontologi sono riusciti a individuare nuovi resti di importanza fondamentale. Nel 2007 venne portata alla luce una prima mandibola, seguita l’anno successivo da una mascella superiore con tanto di molari, e nel 2009 da una mascella inferiore completa. Insieme, i tre ritrovamenti – risalenti a un periodo compreso tra 1,78 e 1,95 milioni di anni fa – permetterebbero di chiarire l’enigma e confermare l’esistenza di una specie Homo diversa da quella di cui saremo i discendenti diretti. La ricostruzione a opera di Meave Leakey del Turkana Basin Institute di Nairobi, Fred Spoor del Max Planck Institute for Evolutionary Antrhropology di Lipsia e colleghi riapre soprattutto un vecchio dibattito della paleoantropologia: la specie umana si è evoluta seguendo un percorso lineare – dall’H. habilis all’erectus fino al sapiens, per dirla semplicemente – o piuttosto sono convissute per un certo periodo specie umane diverse, successivamente incrociatesi o piuttosto eliminate dalla competizione con i nostri antenati?
Una specie o più specie di "Homo"?
Le conclusioni della ricerca pubblicate su Nature propendono per quest’ultima ipotesi, e non sono state facilmente digerite da molti altri ricercatori del fronte avverso. Ad esempio, Adam Van Arsdale del Wellesley College sostiene che i teschi di H. rudolfensis abbiano diversi tratti in comune con gli esemplari di H. erectus da lui ritrovati e studiati nel sito di Dmanisi, in Georgia. Questo dimostrerebbe che si tratta, in generale, di variabili non tali da portare alla conclusione dell’esistenza di più linee evolutive, ma spiegabili all’interno di più banali differenze dovute all’alimentazione o alle abitudini sessuali. Ma secondo gli autori della scoperta, non ci sarebbe molto di cui stupirsi se le due specie fossero diverse. Del resto, come hanno sottolineato nella conferenza stampa di presentazione dei risultati, scimpanzé e gorilla hanno molti punti in comune e naturalmente antenati comuni ma sono specie diverse, che tuttavia convivono negli stessi habitat senza necessariamente entrare in competizione per le risorse. H. rudolfensis e H. habilis (successivamente H. erectus) potrebbero avere coabitato nello stesso periodo e nelle stesse aree.