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Mortalità per coronavirus più elevata con “doppio danno” al polmone: lo rivela uno studio italiano

Danni agli alveoli polmonari unitamente a lesioni ai capillari sono associati ad alta mortalità in terapia intensiva: la diagnosi tempestiva può ridurre la letalità.
A cura di Valeria Aiello
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I pazienti con Covid-19 possono sviluppare un “doppio danno” al polmone cui è associata una più alta mortalità. Lo rivela uno studio prospettico osservazionale condotto in sette diversi ospedali italiani (Policlinico di Modena, Ospedale Maggiore, il Niguarda e l'Istituto Clinico Humanitas di Milano, l'Ospedale San Gerardo di Monza e il Policlinico Gemelli di Roma) su 301 pazienti con Covid-19 di età superiore ai 18 anni ricoverati in unità di terapia intensiva e sottoposti a ventilazione meccanica tra il 9 e il 22 marzo 2020.

Mortalità più elevata con "doppio danno" al polmone

I risultati, pubblicati sulla rivista scientifica The Lancet Respiratory Medicine hanno indicato che “quando il virus colpisce sia il parenchima polmonare sia il sistema di coagulazione o vascolarizzazione, il tasso di mortalità a 28 giorni è estremamente alto”. Lo studio è stato coordinato dal professor Marco Ranieri, direttore dell’Anestesia e Terapia Intensiva Polivalente del Policlinico di S. Orsola, con il coinvolgimento del professor Franco Locatelli dell’Ospedale Bambino Gesù, presidente del Consiglio Superiore di Sanità e membro del Comitato tecnico scientifico. “L'identificazione di questo fenotipo – spiegano i ricercatori –  è importante per gli studi in corso sugli anticoagulanti e trombolitici”. Quanto scoperto potrà dunque consentire di individuare più rapidamente i pazienti a rischio, così da mirare le terapie.

Nello specifico, la diagnosi precoce si stima possa portare a un calo della mortalità fino al 50%. Il Sars-Cov-2, riporta una nota diffusa dall’Ansa, può danneggiare entrambe le componenti del polmone: gli alveoli, cioè le unità del polmone che prendono l'ossigeno e cedono l'anidride carbonica, e i capillari, i vasi sanguigni dove avviene lo scambio tra anidride carbonica e ossigeno. “Quando danneggia un solo componente, a morire è poco più del 20% dei pazienti. Il fenotipo, cioè il modo in cui si manifestano le condizioni, dei pazienti col ‘doppio danno' è facilmente identificabile attraverso la misura di un parametro di funzionalità polmonare (la distendibilità del polmone minore di 40, a fronte di un valore normale di 100) e di un parametro ematochimico (il D-dimero maggiore di 1.800 con valore normale 10)”.

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