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Moria di capodogli in Italia, biologa Maddalena Jahoda: “Forse uccisi da virus o sonar militari”

Abbiamo chiesto alla biologa marina e divulgatrice scientifica Maddalena Jahoda del Tethys Research Institute di spiegarci quali potrebbero essere le cause dietro i numerosi spiaggiamenti di giovani capodogli documentati in Italia nelle ultime settimane, in particolar modo lungo le coste siciliane. Ecco le sue risposte.
A cura di Andrea Centini
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Credit: Greenpeace
Credit: Greenpeace

Mediamente in Italia si spiaggiano 2/3 capodogli all'anno, ma a metà 2019 sono state rinvenute già 8/9 carcasse, molte delle quali individuate nelle ultime settimane e concentrate lungo le coste siciliane. Nella maggior parte dei casi si tratta di esemplari lunghi 5-7 metri, dunque giovani, tenendo presente che un adulto di capodoglio (Physeter macrocephalus), il più grande cetaceo odontocete (con denti) del nostro Pianeta, può raggiungere i 18 metri. Per comprendere cosa sta accadendo abbiamo contattato una delle massime esperte di cetacei in Italia, la biologa marina e divulgatrice scientifica Maddalena Jadoha del Tethys Research Institute, organizzazione senza scopo di lucro fondata nel 1986 impegnata nella conservazione dell'ambiente marino e della sua meravigliosa biodiversità.

Dottoressa Jahoda, in soli tre mesi sono state trovate le carcasse di otto capodogli, la maggior parte delle quali in Sicilia e appartenenti a esemplari giovani. Forse ce n'è addirittura una nona appena rivenuta ad Ansedonia; c'è il dubbio che possa trattarsi di una balenottera comune, viste le notevoli dimensioni e l'avanzato stato di decomposizione. I numeri, come indicato da vari esperti, sono sensibilmente superiori rispetto alle medie annuali in Italia; che cosa sta succedendo nei nostri mari? Le cause dei decessi sono state accertate? Sono correlate fra loro? Nel caso in cui i risultati delle autopsie non fossero ancora disponibili, quali sono le ipotesi più probabili secondo lei?

So che gli esperti hanno prelevato i campioni necessari e ci stanno lavorando, ma non ci sono ancora dei risultati definitivi, che a volte richiedono parecchio tempo. Certo, dà da pensare che i cadaveri siano comparsi tutti in un lasso di tempo piuttosto breve, e che siano praticamente tutti giovani. Una cosa che i veterinari cercheranno di stabilire è se si tratta di individui imparentati tra loro, e quindi possibilmente dello stesso branco, oppure no. Per esempio, era stato il caso dello spiaggiamento di massa sul Gargano nel 2014, quando un gruppo famigliare di sette femmine si era arenato sulla riva, probabilmente seguendo una più vecchia, in cattive condizioni di salute. Nei casi recenti le ipotesi che sono state avanzate per le cause sono l’uso di sonar militari nella zona, ma non è detto che i tempi coincidano, oppure una malattia, la più probabile delle quali è il morbillivirus. Si tratta di un virus che ha colpito in passato soprattutto le stenelle, ma che è stato trovato anche in questa specie. Un’indicazione in questo senso potrebbe essere il fatto che si tratta di individui giovani, con meno difese. E quanto alle difese immunitarie c’è anche da dire che certi inquinanti che hanno la tendenza ad accumularsi nei cetacei (e in generale nei tessuti grassi degli animali), come i PCB (policlorobifenili) causano proprio un abbassamento delle difese immunitarie.

Recentemente c'è stata una imponente esercitazione militare nel Mediterraneo meridionale, dunque nella stessa aerea dove è stata localizzata la maggior concentrazione di capodogli morti; ritiene possibile un collegamento tra i due eventi? Diversi studi hanno confermato che i sonar delle navi e dei sottomarini sono dannosissimi per i cetacei, così come le air-guns delle operazioni estrattive. Qual è il loro impatto?

L’impatto dei sonar militari, i famigerati LFAS (low frequency active sonar) e MFAS (medium frequency active sonar) è devastante e può causare la morte di interi branchi, come è stato dimostrato. Provoca qualcosa di molto simile all’embolia dei subacquei. C’è una specie che sembra particolarmente soggetta a questo fenomeno, ed è lo zifio (Ziphius cavirostris), e non a caso è una specie che compie immersioni molto profonde. Quanto ai capodogli hanno un comportamento molto simile, sono anch’essi animali di grande profondità. Per i capodogli morti quest’anno l’ultima parola spetterà ai veterinari, ma ho anche il sospetto che nelle carcasse rinvenute, già in avanzato stato di decomposizione, potrebbe essere difficile evidenziare eventuali “bolle” da embolia nei tessuti…

Il WWF ha recentemente riportato che ogni minuto finisce nel Mar Mediterraneo l'equivalente in plastica di 34mila bottigliette. Numeri inaccettabili che mettono seriamente a repentaglio la sopravvivenza di cetacei, tartarughe marine, uccelli e altri animali. Perché la plastica è così pericolosa per i mammiferi marini e cosa possiamo fare per limitarne al massimo l'impatto ambientale.

La plastica ha invaso letteralmente i mari, e finalmente se ne parla e si comincia a prendere coscienza della situazione. I capodogli sono particolarmente soggetti a ingoiare grossi pezzi di plastica; uno, rinvenuto in Spagna, aveva nello stomaco interi teli da serra [qui la sua storia ndr]. Uno dei morti recenti, quello spiaggiato pochi mesi fa in Sardegna, conteneva qualcosa come 22 chili di oggetti vari. Ma anche tralasciando questi casi in cui la plastica potrebbe aver causato effettivamente la morte, di fatto la plastica si trova quasi sempre nei capodogli, anche se non è direttamente causa di morte. Sicuramente però contribuisce a debilitare l’animale che magari non riesce più a nutrirsi abbastanza. Un problema leggermente diverso riguarda poi i cetacei filtratori, cioè in Mediterraneo la balenottera comune. La plastica non si degrada, come si sa, però si spezzetta, col tempo, in microplastiche. Queste restano sospese nell’acqua, e vengono filtrate e ingoiate assieme al plancton (anche perché grazie alle correnti, tendono a concentrarsi negli stessi punti). Oltretutto liberano sostanze nocive come gli ftalati. Cosa possiamo fare: evitare il più possibile la plastica usa-e-getta; non abbandonare la plastica da nessuna parte perché praticamente tutto, prima o poi, finisce in mare! E pretendere, con il nostro comportamento, che l’industria adotti delle alternative.

Nel caso in cui ci si dovesse imbattere in un cetaceo spiaggiato vivo o morto lungo le coste italiane, cosa consiglia di fare?

Chiamare la guardia costiera, che a sua volta avviserà gli istituti competenti nella zona. Nel frattempo, se l’animale è vivo si può cercare di tenerlo bagnato perché non si secchi la pelle, magari con dei panni bagnati o versando dell’acqua; se possibile fare ombra. Bisogna evitare di ostruire lo sfiatatoio, per consentirgli di respirare. Eventualmente scavare nella sabbia per fare spazio alle pinne pettorali e non bloccare la circolazione. Per il resto è meglio non fare altro. A parte i casi di spiaggiamenti di massa in cui è possibile che si spiaggino individui sani, spesso un cetaceo singolo cerca la terraferma perché sta male. In questo caso io, personalmente, ho dei grossi dubbi se rispingendolo per forza in mare gli si faccia un favore…

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