Monti, non tagliare la scienza
L’aveva detto chiaro e tondo Piero Angela qualche giorno fa, commentando l’annuncio della scoperta del bosone di Higgs: “Né la politica né l’economia producono ricchezza, ma il mondo del lavoro che si basa sull’innovazione; se si ferma lo sviluppo tecnico-scientifico scende il reddito”. Nessuno è stato a sentirlo, nonostante su questo tasto abbia battuto per anni, anche e soprattutto nel suo ultimo libro A cosa serve la politica. Invece, il governo italiano ha deciso di inserire nel taglio della spesa pubblica anche i più prestigiosi enti di ricerca nazionali: non una riorganizzazione – com’era stata promessa, in alcuni casi anche a ragione – ma una semplice sforbiciata nel budget annuale garantito dal governo.
I tagli alla scienza made in Italy
Il più colpito è l’INFN, l’Istituto nazionale di fisica nucleare: una riduzione del 3,78% quest’anno, pari a circa 9 milioni di euro in meno, e del 10% nei due anni successivi. In pratica da qui alla fine del 2014, l’INFN dovrà fare a meno di ben 60 milioni di euro. Una cifra enorme, incredibile se si considerano i successi che ogni anno i nostri fisici delle particelle portano in dote al paese e al mondo. Non solo i grandi risultati noti grazie alla stampa – dalle ricerche di eccellenza sui neutrini a quella sul bosone di Higgs, che ha visto impegnati centinaia dei nostri migliori fisici – ma anche i lavori meno visibili che hanno una grande rilevanza nella vita di tutti i giorni, per esempio nella medicina diagnostica.
Ma non solo INFN. La scure dei tagli colpisce anche il CNR, l’ente che in Italia coordina i programmi di ricerca nazionali: -1,23% quest’anno, -3,28% nel 2013. Senza piuttosto andare a snellire un organo troppo elefantiaco, che destina una percentuale troppo alta del suo budget all’amministrazione piuttosto che alla ricerca. Tagliare in modo indiscriminato vuol dire quasi certamente ridurre i fondi per la ricerca, perché nessuno è disposto a licenziare personale. Stessa cosa per l’ASI, l’Agenzia spaziale italiana, che soffre un taglio di gran lunga minore, lo 0,21% quest’anno e lo 0,56% il prossimo. Proprio l’ASI che invece meriterebbe una riorganizzazione radicale, anche qui per sfoltire la troppa burocrazia e l’eccessiva politicizzazione che impedisce all’Italia di tornare ad avere un ambizioso programma spaziale. L’INGV, l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologica, a fronte della costante necessità di monitorare il rischio sismico e vulcanico nel nostro paese, soffre un taglio dell’1,31% nel 2012 e del 3,59% nel 2013. E ce n’è anche per l’INAF, l’Istituto nazionale di astrofisica: -0,48% quest’anno, -1,29% il prossimo. Altri enti minori soffriranno una riduzione di oltre cinque milioni di euro in meno di tre anni.
No, la ricerca scientifica non si taglia. Semmai, la si rilancia, aumentandone i fondi. L’Italia destina ancora alla ricerca una percentuale del PIL inferiore alla media europea e ai famosi e irrilevanti obiettivi di Lisbona (3%). Sì, la nostra politica della ricerca scientifica ha bisogno di una sistemata: dev’essere riorganizzata, riducendo i costi del personale e aumentando la dotazione per la ricerca vera e propria; eliminando le interferenze della politica, che portano a costose consulenze e casi imbarazzanti, come quello recente in cui la responsabile dell’ufficio stampa dell’INGV – con un passato da attrice osé – ha ammesso di essere stata piazzata lì da una raccomandazione politica. Da un governo tecnico ci si aspetta il coraggio di mettere finalmente la parola fine a questa inqualificabile pratica, restituendo la scienza agli scienziati. Non piuttosto tagli netti e indiscriminati.
E in America si vuole rilanciare la ricerca
In America l’opinione pubblica è in fermento dopo la scoperta del bosone di Higgs da parte del CERN. Gli USA, dopo una lunga leadership nell’ambito della fisica, hanno dovuto spegnere il loro più grande acceleratore, il Tevatron, e assistere impotenti al trionfo di LHC, a cui lavorano anche centinaia di americani “emigrati”. Non è la prima volta che il timore di perdere la posizione di traino della ricerca scientifica e tecnologica mondiale trascina gli USA verso nuovi successi. Quando lo Sputnik dimostrò che l’URSS era in vantaggio nella corsa allo spazio, l’America si impegnò in un grandioso sforzo che portò l’Apollo 11 sulla Luna nel giro di poco più di dieci anni da quell’evento. E quando, negli anni ’80, ci si convinse che il Giappone avrebbe acquisito la leadership delle nuove tecnologie, la Silicon Valley raccolse la sfida e ci fece entrare nell’era digitale.
Scientific American proprio in questi giorni ha gettato acqua sul fuoco della “higgsteria” americana. Gli USA – ricorda l’influente rivista – continuano a costituire il 40% della spesa mondiale nella ricerca e sviluppo, a sfornare il 38% di nuovi brevetti tecnologi tra i paesi industrializzati, a vantare il 45% dei premi Nobel della fisica, chimica e medicina; e naturalmente la stragrande maggioranza delle migliori università del mondo sono negli Stati Uniti. Eppure, uno dei più grandi scienziati al mondo, l’americano Steven Weinberg, premio Nobel per la fisica, sprona l’America a rimboccarsi le maniche e finanziare la costruzione del Superconducting Super Collider, l’acceleratore di particelle che avrebbe dovuto sostituire il Tevatron negli anni ’90, e che fu affossato dal Congresso per i costi eccessivi. Secondo Weinberg, gli USA necessitano di un nuovo grande acceleratore per mantenere il primato – o comunque per gareggiare ad armi pari con l’Europa – nella fisica nucleare e subnucleare.
In Italia, invece, il problema non si pone. L’INFN deve iniziare a breve i lavori per realizzare vicino Roma un nuovo importante acceleratore, ovviamente ben più piccolo di LHC ma essenziale per contribuire alle ricerche sulla supersimmetria. Come potrà farlo ora, con 60 milioni di euro in meno? Si dovranno chiudere o ridimensionare alcuni dei più importanti progetti scientifici portati avanti nel mondo: sotto il Gran Sasso, i laboratori dell’INFN stanno svelando i segreti dei neutrini, e l’intera comunità scientifica internazionale aspetta i nostri risultati. Diremo loro che il governo ha deciso di spegnere le macchine, perché consumano troppo? Lo sviluppo scientifico e tecnologico è essenziale per farci uscire dalla crisi economica mondiale. La ricerca può affrancare l’umanità da molti dei pesi che oggi ci stanno facendo affondare. Può risolvere il problema energetico, quello alimentare, può ridurre le nostre esigenze di ricorrere a cure mediche facendo sparire terribili malattie. Siamo come un paziente che, per riuscire ad alzarsi finalmente dal letto, si taglia le gambe. Se insistiamo, non ci rialzeremo più.