Mega terremoti, prevedibili grazie ad un segnale scoperto dagli scienziati
Gli scienziati sono riusciti a capire come prevedere i mega terremoti, quelli di magnitudo superiore a 7, grazie ad un segnale appena identificato che anticipa l’evento devastante di 10-15 secondi: ad oggi può sembrare poco, ma lo studio getta le basi per potenziali strumenti di prevenzione che eviterebbero danni enormi a persone e cose. Vediamo insieme i dettagli di questa scoperta e come gli scienziati siano giunti a queste conclusioni.
Lo studio. Per comprendere se fosse possibile prevedere i terremoti, gli scienziati hanno analizzato i dati raccolti su questi eventi dal 1990 ad oggi e, incrociandoli con altri 3.000 provenienti dai GPS più moderni e relativi a terremoti avvenuti tra il 2003 e il 2016, sono riusciti a definire un momento di 10-15 secondi che prevede l’arrivo di un terremoto di magnitudo oltre 7, quindi di un mega terremoto. Non è la prima volta che i ricercatori giungono a conclusioni simili, un altro studio infatti ha ottenuto risultati analoghi, pur basandosi su analisi diverse, e questo aiuta a dare più certezza a quanto calcolato.
L’importanza della scoperta. Certo 10-15 secondi di anticipo possono sembrarci pochi, ma in realtà si tratta di una quantità considerevole visti gli eventi devastanti di cui parliamo e, ovviamente, questo studio rappresenta un primo passo verso ulteriori ricerche che mirano ad incrementare questo tempo di previsione. Il Giappone per esempio sta posizionando cavi di fibra ottica sulle coste che aiutano ad incrementare la capacità preallarme dei sensori. Anche alcuni sistemi GPS oggi sono impiegati per lo studio dei terremoti, ma i dati evidenziano ancora un ritardo nella comunicazione che può essere fatale per le persone che vivono sulle coste e che sono a rischio tsunami. Non ci resta dunque che attendere lo sviluppo della tecnologia e il lavoro degli scienziati per sperare di poter prevedere i terremoti, anche quelli più lievi.
Lo studio, intitolato “Characterizing large earthquakes before rupture is complete”, è stato pubblicato su Science Advances.