Lo strano caso del cervello di Einstein
Dopo la morte, all’età di 76 anni, in un ospedale di Princeton – all’università di Princeton aveva insegnato e lavorato negli ultimi decenni della sua vita, dopo aver lasciato la Germania – di Albert Einstein non rimase niente. Il corpo, sottoposto ad autopsia, fu per sua volontà cremato e resta ignoto il destino delle sue ceneri. Il cervello venne invece asportato per essere sottoposto a indagini scientifiche: un’occasione troppo ghiotta per un gruppo di neuroscienziati americani, che superarono anche le perplessità della famiglia del grande fisico. Dopo aver effettuato un approfondito “reportage” fotografico del cervello di Einstein, Harvey Cushing dell’ospedale di Princeton lo inviò poi ad alcuni suoi colleghi che lo divisero in oltre duecento piccole parti, spedite a neuroscienziati e neurochirurghi di mezzo mondo per sottoporle ad analisi. Solo ora le primissime foto di Cushing sono tornate alla luce e, sottoposte a nuova indagine, hanno portato alla conferma – appena pubblicata dalla rivista Brain – della reale particolarità del cervello del genio più famoso di tutti i tempi.
Un "genio parietale" – All’epoca, i tempi non erano maturi per un’approfondita analisi del cervello di Einstein. Gli studi sul cervello umano erano ancora poco sviluppati, cosicché nonostante le indagini minuziose compiute da numerosi scienziati non sembrò che la materia grigia di Einstein possedesse qualcosa di atipico. Fu solo nel 1985, in un articolo su Experimental Neurology, che si cominciò a parlare di una vera peculiarità del cervello di Einstein: il suo lobo parietale. E solo nel 1999, quando un’analoga conclusione fu raggiunta da una ricerca pubblicata sul prestigioso The Lancet, la notizia ottenne la dovuta visibilità. Confrontando il rapporto tra neuroni e cellule gliali del lobo parietale di Einstein con quello medio, si dimostrò che il fisico possedeva un numero superiore di cellule gliali rispetto alla norma, portando alla conclusione che ciò riflettesse un’inusuale incremento della capacità di elaborazione concettuale. La ricerca del 1999 dimostrò invece una dimensione fuori dal comune del lobo parietale inferiore: essendo l’area generalmente connessa a funzioni come l’orientamento spaziale, il pensiero matematico e il movimento, fu possibile giungere alla conclusione che questa singolarità anatomica del cervello di Einstein fosse alla base della sua straordinaria capacità di elaborare concetti astratti, come i suoi ben noti “esperimenti mentali” da cui emerse la teoria della relatività, e la sua capacità di ragionare non tanto sui numeri e le equazioni ma attraverso rappresentazioni mentali di tipo geometrico.
Un cervello incredibilmente complesso – “In tutti i lobi ci sono regioni che presentano circonvoluzioni eccezionalmente complicate”, spiega Falk sulla rivista Science. La domanda ora è se la peculiare conformazione del cervello di Einstein abbia permesso l’emergere delle straordinarie doti dello scienziato, o se l’estremo impegno nell’elucubrazione su temi ad elevata astrazione come quelli connessi alla fisica abbiamo stimolato una modifica della struttura cerebrale di Einstein. Gli esperti vogliono effettuare un confronto con il cervello di altri importanti fisici per verificare quest’ultima ipotesi. Anche l’enfasi posta dai genitori di Einstein sullo studio della musica, per la quale essi erano particolarmente portati, potrebbe aver stimolato lo sviluppo delle aree del cervello collegate alla creatività, come dimostra il fatto che nel precedente studio di Falk del 2009 una delle regioni del cervello di Einstein collegate al talento musicale risultava notevolmente sviluppata.