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L’influenza è sparita con la pandemia di Covid: “Ora rischiamo più casi e focolai fuori stagione”

La mancata circolazione dei virus influenzali durante l’inverno potrebbe avere conseguenze rilevanti sui tempi e gravità delle future infezioni: “Preoccupa la minore immunità naturale, il ritorno di questi patogeni può portare a un aumento della suscettibilità e malattie più gravi”.
A cura di Valeria Aiello
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I casi di influenza stagionale continuano ad essere stabilmente al di sotto degli anni precedenti. La tendenza, segnalata a livello globale dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (“L’attività influenzale rimane a livelli inferiori alle attese” si legge nell’ultimo report dell’OMS), è evidente anche in Italia, dove i dati del sistema di sorveglianza InfluNet gestito dall’Istituto Superiore di Sanità indicano che l’incidenza settimanale di sindromi simil-influenzali “si mantiene sotto la soglia di base”. Un dato che suggerisce come le diverse misure per contrastare la pandemia di Covid-19, come l’uso delle mascherine, il distanziamento interpersonale e le norme di igiene, abbiano svolto un ruolo sostanziale nel ridurre la trasmissione dei virus influenzali e comunque minore nel frenare quella di Sars-Cov-2 perché, come spiegavamo anche qui, il virus di Covid-19 è molto più contagioso dei ceppi di influenza stagionale.

"Rischiamo più casi di influenza"

Tuttavia, la ridotta circolazione dell’influenza rischia di rendere la popolazione più suscettibile a future infezioni da virus influenzali. Questo perché, secondo gli esperti, la mancata esposizione all’influenza stagionale ha determinato anche un calo dell’immunità naturale nella popolazione. “La diminuzione della protezione naturale è una preoccupazione –  ha affermato Sonja Olsen, epidemiologa dei Centers for Disease and Control Prevention degli Stati Uniti – – . Un’immunità più bassa potrebbe portare a più infezioni e malattie più gravi”. Sebbene non sia ancora chiaro quando tornerà l’influenza (“ma sappiamo che ritornerà” dice Olsen), così come non sono note le potenziali implicazioni di un’attività influenzale al di sotto di quella delle stagioni precedenti, la minore immunità naturale nei confronti dei virus influenzali rischia dunque di causare un aumento dei focolai e della gravità delle infezioni.

Ad osservare come il calo della diffusione dei virus influenzali e di altri patogeni respiratori, come il virus respiratorio sinciziale (RSV) responsabile della bronchiolite e della polmonite nei bambini, possa avere conseguenze sulle nuove infezioni, anche un recente studio pubblicato sulla rivista Pnas. “Le interruzioni dei modelli di trasmissione stagionale di queste malattie – indicano i ricercatori – possono avere effetti nei tempi e gravità dei futuri focolai”. Queste ripercussioni potrebbero quindi tradursi in un maggiore numero di casi di influenza e RSV anche fuori stagione. Un fenomeno che, tra l’altro, sembra si stia già osservando in Florida, dove le infezioni da RSV (che sarebbero normalmente in calo in questo periodo dell’anno) stanno invece registrando una ripresa.

Siamo sempre preoccupati per l'influenza che causa malattie gravi, in particolare nelle persone a maggior rischio di complicanze – ha aggiunto Olsen – . “Sappiamo che i bambini in età scolare sono importanti motori della trasmissione del virus dell’influenza. Tuttavia, poiché l'influenza è difficile da prevedere, non possiamo prevedere la gravità della prossima stagione”.

Ad ogni modo, nonostante la quantità di dati sulle infezioni da virus influenzali fosse nettamente inferiore rispetto agli anni precedenti, lo scorso febbraio si è tenuta la riunione annuale di consultazione e informazione dell’OMS che ha definito la composizione dei vaccini antinfluenzali che verranno utilizzati nell’emisfero settentrionale nel prossimo inverno. La scelta, ha spiegato Olsen, si è basata non solo sui ceppi esistenti ma anche sulle previsioni della “probabilità che qualsiasi altro ceppo emergente di virus influenzali diventi più diffuso nei prossimi mesi”, concludendo che l’incertezza sul ritorno dell’influenza rende di fatto “la vaccinazione ancora più importante, e non certamente meno”.

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