L’infezione da coronavirus ha un’impronta digitale che rivela il rischio di morte
Un nuovo approccio biomolecolare permette di identificare quali sono i pazienti a più alto rischio di morte da coronavirus prima dell’insorgenza di gravi complicazioni. Un ricercatore della Michigan State University (MSU) di East Lansing, negli Usa, ritiene che attraverso le nanotecnologie sia infatti possibile identificare biomarcatori specifici della malattia in grado di distinguere l’infezione fatale da quella che si rivolverà senza complicazioni.
Lo studio su Molecular Pharmaceutics
Lo studio [1], pubblicato sulla rivista scientifica Molecular Pharmaceutics, si basa sull’uso di fluidi biologici come lacrime, saliva e urine che, rispetto al plasma umano, possono essere raccolti in modo non invasivo. Nonostante la più bassa concentrazione di biomolecole, tramite piattaforme di levitazione magnetica (MagLev) è possibile ottenere immagini ottiche delle proteine levitate che, quando sottoposte ad analisi di apprendimento automatico, forniscono informazioni sullo stato di salute dell’individuo. In aggiunta, gli andamenti di levitazione di queste biomolecole, tecnicamente chiamati pattern biomolecolari, possono anche essere separati ed analizzati con approcci proteomici per saperne di più sul ruolo di alcune proteine nello sviluppo della malattia.
Sulla base di questi risultati – si legge nello studio – la piattaforma di levitazione magnetica può avere la capacità di una rapida discriminazione dei pazienti con Covid-19 a rischio di malattia mortale progressiva (ad esempio per l’aggravamento di malattie cardiovascolari) oltre a velocizzare lo sviluppo di biomarcatori per l’identificazione di tali pazienti.
L'impronta digitale della malattia
Il vantaggio principale, rispetto ai test diagnostici convenzionali che sono utilizzati per confermare o escludere il Covid-19 indipendentemente dal rischio di morte, è proprio la capacità di distinguere specifici pattern biomolecolari in grado di fornire una rapida e accurata diagnosi delle infezioni da Sars-Cov-2 che possono risultare fatali. Questo è possibile perché a diversi livelli di infezione o stadi della malattia corrispondono determinate variazioni nei fluidi biologici che si riflettono nelle biomolecole analizzate cui può essere associata la presenza o l’insorgenza di una o più patologie.
In altre parole, l’analisi delle immagini ottiche ottenute tramite levitazione magnetica fornisce “un’impronta digitale” dell’infezione che permette di distinguere le persone con Covid-19 che superano da sole la malattia da quelle a rischio di morte per gravi complicazioni. “La piattaforma diagnostica – ritiene Morteza Mahmoudi, autore dello studio e ricercatore del Collegio di Medicina umana della Michigan State University – può offrire uno schema di impronte digitali della malattia nei soggetti esposti al rischio di morte dopo aver contratto l’infezione”.
Tale applicazione delle nanotecnologie
, quando utilizzata per l’identificazione in fase precoce di pazienti ad alto rischio, può prevenire gravi carenze di risorse sanitarie (evitando, ad esempio, il sovraccarico negli ospedali, l’insufficienza di posti in terapia intensiva, ventilatori e respiratori polmonari, ecc…), ridurre al minimo il tasso di mortalità e migliorare la gestione di epidemie e pandemie future”.