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Leucemia Mieloide Acuta: un paziente su due ha DNA “alieno” responsabile della malattia

I ricercatori italiani hanno scoperto la presenza di DNA non umano nelle cellule leucemiche tipiche della Leucemia Mieloide Acuta. Ecco di cosa si tratta.
A cura di Zeina Ayache
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I ricercatori dell’Università degli Studi di Milano, con la collaborazione degli ematologi dell’Ospedale Niguarda, hanno aperto nuovi scenari utili a comprendere come curare e intervenire sulla leucemia mieloide acuta, una malattia che parte dal midollo osseo (da qui mieloide) da cui progredisce fino a raggiungere una forma acuta: in pratica le cellule del sangue presenti nel midollo osseo possono andare incontro ad una trasformazione in senso tumorale fino a sviluppare appunto la LMA. Lo studio, intitolato “Intronless WNT10B-short variant underlies new recurrent allele-specific rearrangement in acute myeloid leukaemia”, è stato pubblicato su Scientific Reports e ha evidenziato che, in un paziente su due c’è “una correlazione tra la malattia e una porzione di DNA presente nelle cellule leucemiche che non è di tipo umano”, quindi “alieno”.

Attenzione, con il termine “alieno” non ci si riferisce a forme di vita provenienti da altri Pianeti, ma ad un “corpo estraneo” che potrebbe essere un virus o un batterio. Che ruolo ha questo “alieno”? I ricercatori spiegano di aver notato qualche tempo fa che la proliferazione cellulare incontrollata tipica della malattia e dei meccanismi tumorali in generale, presentava una “iper-espressione di questa proteina”. A questo punto, spiegano gli scienziati, si è scelto di andare a ritroso per comprendere chi potesse essere il responsabile dell’ordine di proliferazione e hanno identificato una variante dell’oncogene WNT10B.

Ulteriori ricerche hanno mostrato che, nell’area interruttore che regola l’espressione di questo gene, c’è una sequenza di nucleotidi, che compongono il DNA, che non ha origine umana. E non è tutto. L’anomalia è stata riscontrata nel 56% delle leucemie mieloidi acute. Nuovi studi saranno necessari per sviluppare nuovi farmaci che siano in grado di fermare i “meccanismi proliferativi mediati da WNT10B”.

[Foto copertina di ColiN00B]

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