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Covid 19

Le varianti non riducono l’immunità T dei vaccini Covid di Pfizer e Moderna, secondo uno studio

Analizzando la risposta delle cellule T contro il ceppo originale del coronavirus SARS-CoV-2 e alcune varianti mutate (sudafricana, inglese, brasiliana e californiana), un team di ricerca guidato da scienziati del La Jolla Institute for Immunology ha dimostrato che queste ultime non la influenzerebbero negativamente. Le varianti del coronavirus non ridurrebbero la protezione della risposta immunitaria cellulare garantita dai vaccini di Pfizer e Moderna e da infezioni precedenti. I risultati sono da confermare.
A cura di Andrea Centini
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Quando siamo esposti a un agente patogeno o veniamo vaccinati si determinano due tipologie di risposta immunitaria: la prima, come spiegato dalla professoressa Antonella Viola del Dipartimento di Scienze Biomediche dell'Università di Padova, è l'immunità umorale legata all'attivazione dei linfociti B, responsabili (anche) della produzione degli anticorpi neutralizzanti; la seconda, chiamata immunità cellulare, è invece legata alla produzione di linfociti T citotossici che hanno la capacità di riconoscere e uccidere le cellule infettate dai virus. Entrambe le risposte sono preziosissime per combattere virus come il coronavirus SARS-CoV-2, responsabile della COVID-19. Una nuova ricerca ha appena mostrato che nessuna delle varianti balzate agli onori della cronaca internazionale avrebbe la capacità di influenzare negativamente l'immunità cellulare dovuta ai linfociti T, sia quella innescata dai vaccini a RNA che dalle precedenti infezioni naturali. Si tratta di un'ottima notizia in termini di protezione clinica, benché sia ancora da confermare.

A determinare che l'immunità cellulare scaturita dai vaccini a RNA (più precisamente a RNA messaggero – mRNA) e dalle precedenti infezioni naturali non verrebbe ridotta dalle varianti più note del coronavirus SARS-CoV-2 è stato un team di ricerca americano guidato da scienziati del La Jolla Institute for Immunology di La Jolla (Stati Uniti), che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi della Divisione di Malattie Infettive e Salute Pubblica Globale dell'Università della California di San Diego e del J. Craig Venter Institute. I ricercatori, coordinati dallo scienziato italiano Alessandro Sette del Center for Infectious Disease and Vaccine Research dell'istituto californiano, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver condotto un'analisi approfondita delle risposte delle cellule T CD4 + e CD8 + specifiche per il SARS-CoV-2, per soggetti convalescenti colpiti da COVID-19 e per coloro che hanno ricevuto i vaccini anti COVID a mRNA. Nello specifico, il vaccino tozinameran/BNT162b2 di Pfizer-BioNTech e l'mRNA-1273 di Moderna Inc-NIAID.

Il professor Sette i colleghi hanno osservato la risposta delle cellule T contro le proteine S o Spike del ceppo originale del coronavirus (quello di Wuhan) e di diverse varianti, in tre differenti diluizioni. Per quanto concerne le varianti, quelle coinvolte nell'esperimento sono state la B.1.1.7 (variante inglese), la B.1.351 (variante sudafricana), la P.1 (variante brasiliana) e CAL.20C (variante californiana). Dall'analisi dei dati è emerso che nessuna delle varianti ha avuto un effetto negativo sull'efficacia dell'immunità cellulare T, e ciò, come ha spiegato il professor Enrico Bucci in un post su Facebook, “potrebbe significare che, almeno da un punto di vista clinico, la protezione conferita da un vaccino o da infezione preesistente rimane intatta (anche in caso di reinfezione)”.

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Lo scienziato ha utilizzato il condizionale poiché lo studio è un preprint, che deve essere ancora sottoposto a revisione paritaria e pubblicato su una rivista scientifica. Facendo riferimento al grafico sopra riportato, che mostra la risposta delle cellue T CD4+ e CD8+ contro le diverse proteine spike dei ceppi mutanti, lo scienziato ha spiegato: “Come potete vedere, non vi sono differenze importanti per i mutanti rispetto ai ceppi originari, né per i soggetti convalescenti né per i vaccinati”. Ciò, appunto, si dovrebbe tradurre in una protezione dalle varianti in chi è stato vaccinato con le preparazioni a mRNA e in chi ha avuto un'infezione precedente. Come specificato, tuttavia, i risultati della ricerca pubblicata su MedrXiv andranno confermati.

Il professor Bucci successivamente ha pubblicato un post su un altro studio, nel quale sono stati testati i sieri di soggetti vaccinati (sempre con Pfizer e Moderna) contro la variante brasiliana P.1. Come specificato dallo scienziato, “la perdita di capacità neutralizzante è modesta”; ciò significa che questi vaccini sarebbero efficaci anche contro la variante brasiliana, caratterizzata dalla mutazione E484K che le conferirebbe una certa capacità “elusiva” contro gli anticorpi. La neutralizzazione garantita dai vaccini, inoltre, sarebbe migliore di quella offerta dagli anticorpi di una precedente infezione naturale. Anche questa seconda ricerca è disponibile su MedrXiv e non è stata pubblicata su una rivista scientifica, pertanto i risultati sono da confermare.

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