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Le mascherine N95 contro il coronavirus possono essere sterilizzate e riutilizzate fino a tre volte

Lo rivela uno studio dell’Ucla che ha confrontato quattro diversi metodi per verificare l’efficacia della decontaminazione e l’integrità dei dispositivi monouso dopo il trattamento.
A cura di Valeria Aiello
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Le mascherine monouso N95 possono essere sterilizzate e riutilizzate fino a tre volte senza perdite di efficacia nella filtrazione. Lo rivela uno studio condotto dai ricercatori dell’Università della California di Los Angeles (UCLA) che hanno confrontato quattro diversi metodi per valutare l’efficacia della decontaminazione e l’integrità dei dispositivi dopo il trattamento. . “I nostri risultati – spiegano i ricercatori – indicano che, per ovviare ai momenti di carenza di dispositivi di protezione delle vie aeree, le mascherine N95 possono essere decontaminate e riutilizzate”. I dati, anticipati in una lettera di ricerca diffusa online che sarà seguita dalla pubblicazione dello studio nel numero di settembre della rivista Emerging Infectious Diseases,  evidenziano però che solo in alcuni casi la decontaminazione è risultata davvero efficace e non ha compromesso l’integrità della mascherina, consentendo di riutilizzare il dispositivo fino a tre volte.

Come spiegavamo anche qui, le mascherine con codice N95 sono quelle costituite interamente o prevalentemente da materiale filtrante in grado di contenere il 95% delle particelle aerodisperse, generalmente utilizzate dagli operatori sanitari come uno dei componenti chiave dei dispositivi di protezione individuale per prevenire la diffusione del coronavirus. Tuttavia, gli allarmi per la mancanza di questi dispositivi monouso negli ospedali hanno spinto i ricercatori a verificare quali siano i metodi più efficaci per poterle riutilizzare, mantenendo integrità e tenuta dei dispositivi.

Gli approcci testati sono stati quattro: utilizzo di lampade UV (260-285 nm), calore secco a 70 °C, etanolo al 70% e perossido di idrogeno vaporizzato. Ogni metodo ha dimostrato di poter inattivare Sars-Cov-2 ma le prestazioni di filtrazione dopo ogni ciclo hanno evidenziato profonde differenze tra i diversi trattamenti. Le maschere trattate con perossido di idrogeno vaporizzato hanno mantenuto prestazioni accettabili dopo tre cicli, così come quelle esposte a radiazioni ultraviolette che hanno però richiesto tempi più lunghi per la decontaminazione. Anche il calore secco a 70 °C ha inattivato il virus in tempi paragonabili a quelli delle lampade UV anche se, dopo tre cicli di decontaminazione, le mascherine hanno evidenziato problemi di vestibilità e tenuta, suggerendo che questi dispositivi possano essere riutilizzati al massimo per una o due volte. La decontaminazione con etanolo, invece, ha compromesso l’integrità della mascherina, portando i ricercatori ha sconsigliare questo trattamento per la sterilizzazione delle mascherine N95.

Il metodo più efficace si è quindi rivelato quello con perossido di idrogeno vaporizzato. “Nessuna traccia di virus è stata rilevata dopo un trattamento di dieci minuti – hanno concluso i ricercatori – . La luce ultravioletta e il calore secco sono comunque procedure accettabili, a condizione che entrambi i metodi vengano applicati per almeno 60 minuti”.

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