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L’antiparassitario ivermectina non riduce la durata dei sintomi della COVID-19

Uno studio randomizzato con placebo condotto da scienziati colombiani ha dimostrato che l’antiparassitario e antielmintico ivermectina (molto usato in medicina veterinaria) non riduce la durata dei sintomi nei pazienti con la forma lieve della COVID-19. Da valutare gli effetti sulla forma grave della patologia.
A cura di Andrea Centini
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L'antiparassitario ivermectina non riduce la durata dei sintomi della COVID-19, l'infezione provocata dal coronavirus SARS-CoV-2, perlomeno quelli scaturiti dalla forma lieve della malattia. Il farmaco era balzato agli onori della cronaca internazionale nei primi mesi della pandemia, grazie ad alcuni esperimenti di laboratorio nei quali era stata dimostrata l'elevata capacità di neutralizzare il virus in provetta. Nello studio “The FDA-approved Drug Ivermectin inhibits the replication of SARS-CoV-2 in vitro” condotto da scienziati australiani dell'Università Monash, ad esempio, è stato osservato che l'ivermectina è stata in grado di ridurre di 5mila volte le particelle del coronavirus in sole 48 ore. Ma il nuovo studio getta un'ombra sull'efficacia nell'uomo.

A dimostrare che l'ivermectina non riduce la durata dei sintomi nei pazienti Covid è stato un team di ricerca colombiano guidato da scienziati del Centro de Estudios en Infectología Pediátrica di Cali, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Pediatria dell'Università del Valle, della Clínica Imbanaco, del Dipartimento di sanità pubblica dell'Università Icesi e di altri istituti. Gli scienziati, coordinati dal professor Eduardo López-Medina, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver coinvolto in uno studio clinico – randomizzato con placebo – 476 pazienti con un'età media di 37 anni. Avevano tutti una diagnosi confermata di positività al coronavirus SARS-CoV-2 e presentavano sintomi lievi, da 7 giorni o meno. Sono stati tutti arruolati tra il 15 luglio e il 30 novembre 2020 e seguiti fino al 21 dicembre 2020 (alcuni in ospedale, altri a casa).

Il 50 percento dei partecipanti ha ricevuto una dose di ivermectina al giorno per 5 giorni pari a 300 microgrammi per chilogrammo di peso corporeo, mentre l'altra metà ha ricevuto il placebo. Gli scienziati hanno seguito ciascun paziente per tre settimane e hanno osservato l'andamento dei sintomi. Al ventunesimo giorno, l'82 percento dei pazienti del gruppo ivermectina e il 79 percento del gruppo placebo aveva superato i sintomi. La minima differenza è stata considerata statisticamente non significativa, pertanto il farmaco non ha ridotto la durata dei sintomi nei pazienti. Per quanto concerne le reazioni avverse, l'effetto collaterale più comune è risultato essere il mal di testa, rilevato nel 52 percento dei pazienti con ivermectina e nel 56 percento di quelli con placebo, mentre quello più grave (l'insufficienza multiorgano), si è verificato in due pazienti per ciascun gruppo.

Alla luce dei risultati ottenuti, gli scienziati non raccomandano l'uso dell'ivermectina per trattare i pazienti Covid con la forma lieve della patologia, mentre non si sbilanciano sulle forme più severe, per le quali dovranno essere condotti studi ad hoc. L'ivermectina è un antiparassitario e antielmintico molto utilizzato in medicina veterinaria, ad esempio per sverminare i cavalli e per prevenire la filariosi cardiopolmonare nei cani, ma è di uso diffuso anche nell'uomo, come contro i pidocchi, la scabbia, l'oncocercosi e altre patologie infettive. A causa degli studi preliminari che ne avevano determinato l'efficacia in laboratorio, diverse persone hanno iniziato ad abusare del farmaco, facendo aumentare i casi di avvelenamento segnalati dai centri antiveleno americani. Alcuni hanno addirittura assunto le dosi per cavalli, con conseguenze serie sulla salute. I dettagli della ricerca colombiana “Effect of Ivermectin on Time to Resolution of Symptoms Among Adults With Mild COVID-19 – A Randomized Clinical Trial” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Jama.

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