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La variante inglese uccide di più: “Tasso di mortalità significativamente più alto”

Lo indicano i risultati di un nuovo studio condotto nel Regno Unito che ha evidenziato un aumento del rischio di morte del 64% tra le persone contagiate dalla variante inglese: “Questo la rende una minaccia che dovrebbe essere presa sul serio”.
A cura di Valeria Aiello
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Particelle di coronavirus Sars-Cov-2 / NIAID
Particelle di coronavirus Sars-Cov-2 / NIAID

Oltre ad essere più contagiosa, la variante inglese (B.1.1.7) del coronavirus è anche molto più letale. Lo indicano i risultati di uno studio condotto nel Regno Unito che ha confrontato il tasso di mortalità nei positivi alla variante inglese rispetto a quello osservato tra le persone contagiate dalle precedenti versioni di Sars-Cov-2. Secondo i dati, pubblicati sul British Medical Journal, il rapporto del rischio di mortalità associato alla variante inglese è di 1,64 volte più alto rispetto a quello di altre varianti, traducendosi in un aumento del rischio di morte del 64%. “Insieme alla capacità di diffondersi più rapidamente, questo rendere la variante B.1.1.7 una minaccia che dovrebbe essere presa sul serio” ha affermato Robert Challen, ricercatore presso l’Università di Exeter e autore corrispondente dello studio.

Il rischio della variante inglese del coronavirus

Nell’analisi, l’infezione causata dalla variante inglese ha portato a 227 decessi in un campione di 54.906 pazienti, rispetto ai 141 che si sono registrati nello stesso numero di pazienti positivi ad altre varianti. Nel dettaglio, l’indagine – uno studio di coorte abbinato, per cui ciascun paziente contagiato dalla variante inglese è stato abbinato (per età, sesso, etnia, data di diagnosi e altre caratteristiche), a un paziente positivo ad altre varianti in modo che ogni coppia differisse per il solo ceppo virale – ha preso in considerazione i decessi che si sono verificati entro 28 giorni dalla prima diagnosi di Covid-19.

Il rapporto del rischio di morte è da 1,32 a 2,04 volte più alto rispetto alle altre varianti – osservano gli studiosi – . Questo si traduce in un aumento del rischio di morte dal 32 al 104 percento, con una stima del rapporto di rischio più probabile di 1,64 o un aumento del 64% del rischio di morte”. Un dato che ha portato i ricercatori ad affermare che il tasso di mortalità della variante inglese è “significativamente più alto” rispetto a quello di precedenti versioni di Sars-Cov-2.

I pazienti inclusi nello studio avevano più di 30 anni e una diagnosi di Covid basata su screening di comunità “generalmente una popolazione più giovane e con malattia meno grave rispetto alle diagnosi di Covid-19 effettuate in ospedale, poiché gli anziani e coloro che sviluppano forme gravi di Covid-19 tendono a presentarsi direttamente in ospedale” precisano gli studiosi. Pertanto, indicano i ricercatori “il rischio assoluto di morte in questi pazienti identificati dalla comunità, rimane tuttavia basso, aumentando da 2,5 a 4,1 decessi per 1000 casi”. D’altra parte, questo approccio ha permesso di escludere importati limitazioni, in particolare l’influenza sulla mortalità determinata dal numero di pazienti che necessitano di cure intensive in ambiente ospedaliero.

I risultati preliminari di questo studio erano già stati comunicati al governo britannico all’inizio di quest’anno, insieme alle conclusioni di altre ricerche, dagli esperti del gruppo consultivo NERVTAG, anticipati anche dal premier britannico Boris Johnson a fine gennaio. Di tutte le mutazioni che interessano l’intero genoma della variante B.1.1.7, designata anche come “variante di preoccupazione” – Variant of Concern VOC 202012/01 dal Public Health England – almeno otto riguardano la proteina Spike che Sars-Cov-2 utilizza per legare le cellule umane e penetrare al loro interno. Gli esperti hanno però affermato che i meccanismi precisi alla base del più alto tasso di mortalità non sono ancora chiari “ma potrebbero essere correlati a livelli più elevati di replicazione del virus, nonché alla maggiore trasmissibilità” ha detto Lawrence Young, virologo e professore di oncologia molecolare presso la Warwick University di Cowentry che non è stato coinvolto nello studio, indicando come la variante inglese stia alimentando il recente aumento di infezioni in tutta Europa.

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