La variante inglese ha circolato in almeno 15 Paesi prima di essere identificata
La comparsa di nuove varianti più contagiose del coronavirus Sars-Cov-2 ha evidenziato come la pianificazione di programmi di sequenziamento genico sia fondamentale per rilevare in tempo possibili nuove minacce. Una chiara dimostrazione è rappresentata dalla scoperta di una delle varianti attualmente ritenuta di maggiore preoccupazione, che si è diffusa silenziosamente per mesi prima di essere identificata. Secondo un nuovo studio condotto dai ricercatori del Covid-19 Modeling Consortium dell’Università del Texas ad Austin, negli Stati Uniti, questa variante era già presente in almeno 15 Paesi prima che nel dicembre 2020 gli scienziati segnalassero la scoperta della mutazione 501Y nel Regno Unito, dove si sospetta abbia avuto origine.
La nuova analisi, disponibile sulla rivista Emerging Infectious Disease dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC), evidenzia il rischio di introduzione di varianti a livello globale, fornendo la prova che la variante oggi nota come B.1.1.7 ha circolato per mesi senza essere rilevata. “Quando abbiamo appreso di una variante inglese a dicembre, questa si stava già diffondendo in tutto il mondo – ha affermato Lauren Ancel Meyers, direttore del Covid-19 Modeling Consortium presso l’Università del Texas ad Austin e autore corrispondente dello studio – . Stimiamo che questa variante sia probabilmente arrivata negli Stati Uniti già nell’ottobre 2020, due mesi prima di sapere della sua esistenza”.
Analizzando i dati di 15 Paesi – Irlanda, Francia, Grecia, Spagna, Germania, Olanda, Belgio, Italia, Romania, Polonia, Turchia, Cipro, Portogallo, India e Stati Uniti – , i ricercatori hanno calcolato il rischio di importazione della variante inglese, stimando che la più alta probabilità che i viaggiatori provenienti dal Regno Unito l’abbiano introdotta tra il 22 settembre e il 7 dicembre 2020 era associata all’Irlanda. “Entro il 22 ottobre, la possibilità che 10 di questi 15 Paesi avessero 1 caso importato dal Regno Unito era almeno del 50%, ad eccezione di Romania, Portogallo, Cipro, India e Stati Uniti, sebbene entro il 1° novembre questa soglia di rischio sia stata superata per tutti questi Paesi” indicano gli studiosi.
In concomitanza con la pubblicazione dello studio, i ricercatori del Covid-19 Modeling Consortium hanno anche sviluppato un nuovo strumento di calcolo che i decisori potranno utilizzare nella pianificazione di programmi di sequenziamento e che potrà rivelarsi utile nella progettazione di piani di sorveglianza nazionale e monitoraggio di nuove varianti. Lo strumento, disponibile online, indica il numero di campioni che devono essere sequenziati per identificare una nuova variante appena questa inizia a diffondersi nella popolazione. Ad esempio, se l’obiettivo è rilevare una variante emergente nel momento in cui sta causando 1 su 1.000 nuovi casi d Covid-19, è necessario sequenziare circa 3.000 campioni positivi a Sars-Cov-2 a settimana.