La tassa sulla Coca-Cola e quel vecchio dilemma
Dove arriva la libertà e dove la tutela del singolo ad opera dello stato? A riportare all'attualità un simile interrogativo etico (e politico) ci pensa François Fillon, il primo ministro francese che ha inserito all'interno della manovra economica la tassa sul consumo delle bevande gasate. Ovviamente – a sentire l'artefice di tale imposta – non si tratta di un modo per portare nelle casse dello stato 11 miliardi di euro, ma di una onesta crociata contro l'adiposa popolazione degli obesi, affinché più infedeli possibili possano "convertirsi" alla più gioiosa e salutare confessione del peso-forma.
Insomma, questione di salute e, quindi, tassa apparentemente incontestabile: parlarne male è semplicemente immorale. Questa, almeno, era la speranza del primo ministro, che però non ha raccolto il consenso sperato. All'imposta si contestano da un lato una così bassa esosità da non intaccare minimamente i consumi, dall'altro la sua accurata selettività nell'individuare le bibite ree di ciccia. Immancabili, ovviamente, anche i massimi sistemi dominanti: la libertà di essere in sovrappeso e la natura maligna del protezionismo.
Il premier si è quindi vanamente impegnato nel dare alla tassa un profilo strettamente "sanitario": le critiche hanno retto al ragionamento di Fillon, che, citando l'OMS ha alluso ad un futuro di cicce ballonzolanti. "Nel 1997 – ha infatti ricordato il primo ministro – erano obesi l'8,5% dei francesi, oggi siamo ormai al 15%". Fenomeno sociale che, tra l'altro, è in crescita anche in Italia.
E quindi la tassa che colpirebbe Coca-Cola (ma non la light), Fanta, Pepsi, Sprite ed Orangina risanerebbe parzialmente la salute dei francesi? "No", afferma Tristan Farabet, che, da capo della Coca Cola Entreprise, ha contro di sé un più che ragionevole pregiudizio di parzialità: "Le bevande gassate – ha affermato Farabet – rappresentano in media il 3,5% dell'apporto calorico quotidiano di un individuo: non è certo concentrandosi su quel 3,5% che si affronta seriamente la questione dell'eccesso di peso. Le ragioni di salute pubblica semplicemente non reggono".
UN SOLO CENTESIMO. Ma a sostenere l'inutilità di quella che è stata ribattezzata la "tassa sulla Coca Cola" troviamo anche il pediatra nutrizionista Patrick Tounian. Al di là del fatto che l'imposta sia pari a solo un centesimo a lattina, il medico ha assicurato che "Se domani proibissimo completamente il consumo di Coca Cola o di Orangina, non avremmo un bambino obeso in meno. La maggior parte dei succhi di frutta contiene naturalmente la stessa quantità di zucchero delle bevande gassate, e certe volte di più". Tuttavia, verrebbe da chiedere se al mondo si consuma piì Coca-Cola o più succhi di frutta.
DISCRIMINANTE. Dunque tassiamo la Coca Cola, il vino, la birra e i succi di frutta? Ovviamente no. L'altra critica riguarda proprio la "scelta" delle bevande da penalizzare, selezionate – questa l'accusa – proprio perché nell'immaginario collettivo sono condannate di "alta caloria". Per di più si tratta di bevande americane: con buona pace dell'economia nazionale e dei forti sentimenti antiamericani presenti nell'orgogliosa Francia.
PROTEZIONISMO. Qualcuno ha ritenuto di dover tirare fuori del cilindro anche questo termine: protezionismo. Il che ovviamente, in epoca di tripudio filo-liberistico, equivale ad un'accusa di oscurantismo. Del resto l'accusa non è campata in aria: se gli Usa dovessero decidere di fare altrettanto con i vini francesi, c'è da scommettere che i transalpini si mostrerebbero ben poco preoccupati della salute epatica degli statunitensi.