La ricerca scientifica italiana si solleva contro la disinformazione
In Italia siamo abituati a vedere manifestare chiunque: i tassisti, i poliziotti, l’esercito, i coltivatori, gli attori… Ma da quando in qua si vedono degli scienziati scendere in piazza? Bè, siamo riusciti a far arrabbiare anche loro, e sì che ce ne vuole. Li vediamo spesso polemizzare velenosamente tra colleghi nei congressi di specialisti e sulle riviste scientifiche, ma trascinarli in strada con cartelli e striscioni è tutta un’altra faccenda. Cos’è successo di così grave da convincere numerose associazioni, enti, università a sostenere la giornata nazionale per la corretta informazione scientifica celebrata oggi in tutta Italia e organizzata dal movimento Pro-Test? In realtà, di cose gravi ne sono successe fin troppo. In un paese in cui ogni anno si tagliano i fondi per la ricerca scientifica, abbiamo visto due governi finanziare con milioni di euro una presunta cura con le staminali per le malattie neurodegenerative sviluppata da una struttura privata, la Stamina Foundation, bypassando tutti i trial clinici; abbiamo visto vandalizzare lo stabulario dell’Università di Milano, che ha perso così centinaia di migliaia di euro e anni di ricerche; abbiamo visto distruggere un grande appezzamento di piante ogm nell’Università della Tuscia, importante esperimento per l’agricoltura transgenica; abbiamo visto condannati a svariati anni di carcere eminenti sismologi perché non in grado di prevedere il terremoto dell’Aquila. Per molti ricercatori ce n’è abbastanza da decidere di dire “basta”.
Disinformazione scientifica
Dire basta, soprattutto, a un modo distorto di comunicare la scienza. Un modo sensazionalistico, affidato a servizi d’inchiesta che nulla hanno di scientifico. Come ha osservato il professor Umberto di Porzio del CNR all’incontro organizzato a Napoli, “è sufficiente leggere un qualsiasi articolo dedicato alla scienza del New York Times per rendersi conto che dietro c’è un giornalista serio e informato che fa il suo mestiere”. Ma è così anche in Inghilterra: le pagine scientifiche del Guardian o dell’Economist sono tra le migliori fonti d’informazione del mondo. Perché in Italia invece è così difficile trovare un buon giornalismo scientifico? Perché il nostro paese deve sempre finire sulle pagine di Nature, dove gli scienziati del resto del mondo s’interrogano perplessi su cosa non vada con la ricerca scientifica in Italia?
Le cause sono tante. C’è chi dà colpa alla storica impostazione crociana dell’insegnamento scolastico, che va a scapito delle materie scientifiche, con il risultato di avere un 30% di italiani che dichiara di non voler mangiare Ogm perché “contengono geni”. C’è chi condanna il mondo del giornalismo, che non fa il suo dovere. C’è chi attacca gli scienziati, troppo chiusi nelle loro torri d’avorio per occuparsi di parlare con il grande pubblico. Certo c’è del vero in tutte queste affermazioni. Però non siamo poi così soli. Basti fare l’esempio della nazione più avanzata scientificamente e tecnologicamente, gli Stati Uniti. Anche lì, dove la religione cattolica non ha il peso che ha in Italia, ci sono stati divieti statali alla ricerca sulle cellule staminali embrionali. Lì c’è addirittura chi mette in dubbio la teoria evoluzionistica e continua a credere che il mondo sia stato creato 6000 anni fa, e che Satana abbia disseminato la Terra di falsi fossili di dinosauri per trarci in inganno.
Certo, in Italia c’è anche un problema politico. Perché se il Parlamento approva all’unanimità restrizioni alle ricerche sugli Ogm senza alcuna informazione preventiva, accetta di finanziare una terapia non testata (il metodo Di Bella ieri, il metodo Vannoni oggi) e discute nelle interrogazioni al governo della presenza di extraterrestri e di avvistamenti di Ufo, non si va molto lontani. Allora diventa anche giusto arrabbiarsi e scendere in piazza e prendere i microfoni e protestare. Pro-Test sfrutta questo gioco di parole. Seguendo l’esempio dell’omonima organizzazione nata nel Regno Unito, protesta per continuare a testare. La sperimentazione animale, sostengono i giovanissimi fondatori del movimento, è ancora necessaria per far progredire la ricerca medica e farmacologica. La vivisezione, quella no, non esiste più da decenni. Ma di cavie in laboratorio ce ne sono centinaia di migliaia, e non per sadismo: servono per testare nuove cure prima di applicarle sull’uomo, per riscontrare potenziali effetti collaterali che potrebbero uccidere migliaia di esseri umani. E solo una manciata sono pet (animali domestici) o primati: la stragrande maggioranza è costituita da topi e affini. Per non parlare del moscerino della frutta e del C. Elegans, celeberrimo nematode sfruttatissimo nella ricerca.
Il trionfo della pseudoscienza
La giornata dell’8 giugno è stata al centro di forti polemiche. La Lega anti-vivisezione e tantissimi altri movimenti animalisti hanno duramente contestato conferenze, dibattiti e flash mob. A loro dire, gli organizzatori della giornata – che ha avuto l’adesione tra gli altri di Città della Scienza, CICAP, Federfauna, Istituto Mario Negri, INGV, e di otto atenei nazionali – sono “vivisettori”. È chiaro che il tema della sperimentazione animale non è semplice da affrontare. L’utilità scientifica è innegabile, ma la questione etica è tutto un altro paio di maniche. Ciò però non deve mettere in secondo piano le tante altre emergenze: dal metodo Stamina alle predizioni sismiche, dagli ogm fino alle scie chimiche. Tutti temi discussi nel corso della giornata in tutta Italia. Che dire, per esempio, della cura per il cancro? È incredibile vedere quanta gente creda davvero che esista un grande complotto delle principali case farmaceutiche, il cosiddetto sistema Big Pharma, per nascondere la cura per il cancro, chiusa in una cassaforte, come se fosse la formula della Coca-Cola. Moltissime persone credono che le grandi compagnie petrolifere paghino gli scienziati affinché non scoprano la fusione fredda, o non inventino le macchine a idrogeno. E c’è chi sostiene, e sono milioni, o decine di milioni, che il governo degli Stati Uniti non solo sia in grado di controllare i terremoti, ma che abbia addirittura costruito, nella tundra dell’Alaska, un complesso militare che attraverso le onde elettromagnetiche scateni terremoti artificiali in ogni parte del mondo, principalmente nei paesi avversari come Iran o Cina.
In questi casi, non siamo di fronte a una cattiva informazione scientifica, ma alla pura e semplice pseudoscienza. E di pseudoscienza ce n’è tantissima in circolazione. Chi non si ricorda del famoso sismologo dilettante Raffaele Bendandi, defunto negli anni ’70, che avrebbe previsto un terremoto su Roma nel maggio 2011 sulla base di correlazioni tra il ciclo solare e gli allineamenti planetari? Non è difficile capire perché si crede a storie così strampalate. La pseudoscienza nasce da una nostra naturale reazione a un mondo troppo complicato perché possiamo davvero capirlo. È troppo difficile sapere tutto sulle staminali, sulla fusione nucleare, sui terremoti, sul cancro, sugli ogm. Allora tendiamo a semplificare, a banalizzare. Creiamo delle teorie semplici e comprensibili da tutti. In questo modo crediamo di poter controllare il fenomeno, bypassiamo migliaia di scienziati che invece passano la loro vita a studiarlo, perché queste cose sono così complicate che richiedono tutta una vita per comprenderle davvero. Ogni tanto, dovremmo tornare a parlare con gli scienziati. Scopriremmo che non sono pagati da potenti lobby o servizi segreti deviati per nascondere verità inconfessabili, ma che il più delle volte fanno la fame e non riescono nemmeno ad avere finanziamenti per portare avanti le loro ricerche. Mentre gli italiani, dal canto loro, si affidano al primo santone di turno per farsi curare. Se foste scienziati, forse sareste scesi in piazza anche voi.