La maggior parte delle dosi del primo farmaco Covid non viene utilizzata
Negli Stati Uniti, la maggior parte delle dosi di anticorpi monoclonali contro il coronavirus Sars-Cov-2 non viene utilizzata. A lanciare l’allarme è Moncef Slaoui, responsabile dell’Operazione Warp Speed, la task force che negli Usa si occupa della distribuzione dei vaccini Covid. Su circa 65mila dosi di anticorpi monoclonali che ogni settimana lasciano i siti produttivi per essere distribuite ai Paesi confederati, solo il 5-20% viene somministrata ai pazienti. “È un peccato – ha detto Slaoui alla CNBC – perché questo farmaco può aiutare i pazienti Covid ad evitare il ricovero in ospedale”.
"Solo il 5-20% delle dosi viene somministrata ai pazienti"
La Food and Drug Administration (FDA), l’Agenzia che si occupa della regolamentazione dei farmaci negli Stati Uniti, ha concesso l’autorizzazione per l’uso di emergenza (EUA) degli anticorpi monoclonali nel novembre scorso ma, secondo quanto ricostruito dal network statunitense, il picco di contagi che si sta registrando negli Usa non sta permettendo agli Stati di avere le risorse necessarie all’organizzazione della logistica. Sempre a novembre, il Dipartimento della Salute dello Utah aveva già fatto presente che, a causa della crescente pressione sugli ospedali, non era riuscito a organizzare la distribuzione, nonostante le dosi di anticorpi monoclonali prodotti dalle società farmaceutiche Regereneron ed Eli Lilly siano comunque limitate rispetto alle necessità. Negli Usa, ciascuno Stato riceve ogni settimana un numero di dosi in base ai casi di Covid-19 segnalati nella settimana precedente e deve decidere come distribuirle tra i diversi ospedali. Trattandosi però di una risorsa non immediatamente disponibile, i medici non fanno affidamento su questo trattamento nello standard di cura.
D’altra parte, un’altra difficoltà è rappresentata da tempi e modalità di somministrazione delle dosi, che devono essere conferite nei primissimi giorni di positività. “Se i pazienti non vengono sottoposti al tampone o non ottengono i risultati del test entro un breve lasso di tempo dal contagio, non possono beneficiare del farmaco. E anche se ricevono una diagnosi di Covid, potrebbero non manifestare sintomi o chiamare il medico prima di essere fuori dalla finestra temporale di somministrazione. Per questo potrebbero non essere a conoscenza del farmaco e della possibilità di riceverlo”. Inoltre, trattandosi di un farmaco che viene somministrato per via endovenosa, i pazienti che si trovano nella prima fase dell’infezione, che è quella in cui sono più contagiosi, devono recarsi in un ospedale o in una struttura ambulatoriale per ricevere il farmaco, interagendo quindi con infermieri e medici. “Gli Stati e le organizzazioni sanitarie devono dunque creare luoghi sicuri, in cui i pazienti possano ricevere il trattamento”.
Gli anticorpi monoclonali, il cui nome commerciale è Bamlanivimab nel caso della formulazione prodotta da Eli Lilly e Regn-CoV-2 per il farmaco sviluppato dalla società d biotecnologie Regeneron, possono aiutare le persone esposte ad alto rischio a non sviluppare una forma grave di Covid, avendo dimostrato di poter abbattere il tasso di ospedalizzazione dei pazienti trattati. Questo perché, a parte le differenze intrinseche tra i due preparati, si tratta in entrambi i casi di anticorpi capaci di legarsi alla proteina Spike del coronavirus Sars-Cov-2, dunque in grado di limitare la capacità del patogeno di infettare le cellule. Anche il presidente uscente Donald Trump, una volta ricevuta la diagnosi di positività al coronavirus, è stato trattato con gli anticorpi monoclonali prima di iniziare la terapia con l’antivirale remdesivir. Sempre alla CNBC, Slaoui ha dichiarato che l’operazione Warp Speed potrebbe aiutare i diversi Stati a risolvere il problema della logistica che, per ora, rappresenta il principale ostacolo che impedisce a migliaia di persone di ricevere in tempo il primo farmaco approvato per il Covid.