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La calda estate dei ghiacciai alpini

Cambia il clima, cambiano i fenomeni meteorologici, cambia anche il paesaggio offerto dai ghiacciai delle Alpi: che quest’anno potrebbero raggiungere un nuovo record storico negativo.
A cura di Nadia Vitali
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scioglimento ghiacciai alpini
scioglimento ghiacciai alpini

La presenza del dibattito sui cambiamenti climatici ad un livello sia scientifico, dove si profila molto spesso come vero e proprio terreno di scontro tra sostenitori di opposte teorie in merito con tanto di "conversioni" inaspettate, sia sul piano più colloquiale, con sfumature che talvolta sfiorano il più audace catastrofismo, ha reso l'argomento sempre più diffuso e oggetto di curiosità. Ciononostante, il confronto reale con quanto è determinato, nella fattispecie, dalle emissioni nell'atmosfera e dal conseguente innalzamento delle temperature medie è ancora fonte di sconcerto: soprattutto se gli effetti dei mutamenti si fanno vedere sui territori che conosciamo, che amiamo, che in parte sentiamo un po' nostri.

Come sta accadendo ai ghiacciai delle Alpi, sempre più provati dalle bizzarrie meteorologiche e, in particolar modo, da estati caldissime che rendono ancora più intenso il naturale processo di scioglimento stagionale. Già nei primi giorni di settembre è stato lanciato l'allarme da parte di esperti glaciologi chiamati a confrontarsi con la crescente riduzione della superficie ghiacciata, che in dieci anni avrebbe visto i ghiacciai delle Dolomiti passare da un'estensione di 8600 chilometri a circa 7200, con una perdita media di oltre il 15% di territorio che in alcune aree particolarmente fragili ha sfiorato picchi che non mancano di destare molta preoccupazione: come accade per la Regina, la Marmolada, i cui ghiacciai sono da anni, ormai, sotto osservazione a causa del loro ritiro.

L'estate del 2012, in particolare, sembra destinata a far registrare il nuovo record negativo dopo quello del caldissimo 2003: l'assottigliamento di oltre due metri dello spessore medio dei ghiacci già rilevato a fine agosto lascia supporre che, entro la fine di settembre, verrà sfiorato un nuovo picco verso il basso. E in questo scenario nero per il patrimonio ambientale delle Alpi, ma anche per i delicati equilibri che con maggiore ampiezza vengono sconvolti da tali drastici cambiamenti, suona quasi come un monito all'umanità il rinvenimento degli ordigni bellici risalenti al primo conflitto mondiale che un silente manto gelido aveva coperto e fatto dimenticare fino alla loro ri-scoperta a causa dello scioglimento della coltre.

Un arsenale composto da circa duecento granate (85-100 millimetri di calibro per 7-10 chilogrammi di peso l'una) disseminate su un'area di diverse centinaia di metri quadri, riaffiorato a fine agosto a quota quasi 3200 metri in seguito al parziale scioglimento del ghiacciaio della Vedretta di Nardis, nel Gruppo della Presanella; immobile da quasi un secolo, ormai restituito alla luce, ai rilievi fotografici, alla documentazione storica. E mentre il ricordo della guerra tornava alla mente in tutto il suo gelido dolore, nei primi giorni di settembre sulla cima dell'Ortles la croce simbolo dei monti e del Trentino Alto Adige si staccava dalla sua altezza di 3905 metri, cadendo lungo la parete rocciosa: a causare il cedimento, anche in questo caso, il ritiro del ghiaccio, conseguenza di un'estate eccezionalmente calda.

Nel dubbio, pochi giorni dopo, il soccorso alpino austriaco ha rimosso una struttura simile, la croce di Grossvenediger, nel Tirolo, ad oltre 3600 metri, prima che un altro crollo potesse produrre effetti ben più drammatici su sventurati alpinisti. Ma la preoccupazione per la vetta che ha visto assottigliarsi il proprio ghiaccio negli ultimi anni fino a rendere la croce instabile, purtroppo, resta ancora in piedi, non solo per essa ma per tutte le cime alpine sempre più sofferenti a causa di un clima instabile e caratterizzato da fenomeni meteorologici estremi che non risparmia la bellezza incantevole e mozzafiato della candida distesa che le Alpi regalano all'umanità da migliaia di anni.

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