L’abuso di cannabis danneggia la sostanza bianca del cervello
Fumare skunk, un tipo di cannabis, può danneggiare una parte del cervello fondamentale per la comunicazione tra i due emisferi del cervello. A darne notizia sono i ricercatori del King's College di Londra e dell'Università Sapienza di Roma che, sul Psychological Medicine, hanno pubblicato lo studio intitolato “Effect of high-potency cannabis on corpus callosum microstructure”.
Se già da tempo è chiaro l'effetto che la cannabis ha sul lungo periodo, che aumenta cioè il rischio di psicosi, recenti analisi suggeriscono che il responsabile di questo tipo di vulnerabilità potrebbe essere l'alterazione delle funzioni del cervello e della sua struttura.
La skunk, come ormai risaputo, contiene alte quantità di delta-9-tetraidrocannabinolo, detta anche THC, sulla quale sono stati effettuati diversi studi sperimentali che hanno mostrato come riesca ad indurre, in chi ne fa uso, sintomi psicotici.
Ma non è tutto. Come spiega Paola Dazzan, una delle autrici dello studio, “Abbiamo scoperto che l'uso frequente di cannabis ad alto potenziale (che contiene molta THC) può influire sulla struttura stessa della sostanza bianca, costituita da fibre nervose che uniscono l'encefalo e il midollo spinale, indipendentemente dall'insorgere di sintomi psicotici”. In pratica, i danni al cervello sono direttamente proporzionali al consumo di cannabis e non necessariamente sfociano in psicosi.
Per giungere a queste conclusioni, i ricercatori hanno analizzato i cervelli di 56 pazienti che hanno mostrato un episodio riconducibile alla psicosi e 43 persone sane attraverso risonanza magnetica funzionale, nello specifico utilizzando il tensore di diffusione che permette di costruire immagini biomediche del cervello.
I dati raccolti, che dimostrano come la cannabis possa danneggiare il cervello, incentrati sulle formazioni commissurali interemisferiche (che fanno parte della sostanza bianca), sono ricche di ricettori di cannabinoidi, hanno mostrato un elevato tasso di diffusibilità media che, in clinica, localizza le lesioni della sostanza bianca.