Il trapianto di feci potrebbe essere un trattamento anti Covid
Nella lotta al Covid, un aiuto potrebbe arrivare dal trapianto di feci, chiamato anche trapianto di microbiota fecale (FMT), un trattamento promettente per una serie di condizioni cliniche, comprese le infezioni intestinali causate dal batterio Clostridioides difficile, con un possibile ruolo nella cura della malattia causata da Sars-Cov-2. Il trattamento consiste in un trasferimento di feci da un donatore sano a una persona malata con l’obiettivo di potenziale la risposta immunitaria, introducendo nell’intestino una serie di batteri che ristabiliscono una comunità microbica sana.
I primi risultati, pubblicati sulla rivista Gut, si riferiscono a due casi di Covid-19, un uomo di 80 anni e 19enne affetto da colite ulcerosa e in trattamento con immunosoppressori. In entrambi, i medici hanno rilevato una riduzione della gravità dei sintomi di Covid-19 dopo il trapianto di feci, pur non potendo escludere i benefici di altri trattamenti, come remdesivir e trasfusioni di plasma convalescente con anticorpi contro Sars-Cov-2.
Quest’ultimo il caso dell’ottantenne che in precedenza aveva combattuto contro Clostridioides difficile ricorrente e che, poco dopo il trapianto, ha mostrato segni di miglioramento con sintomi che si sono rapidamente risolti. Anche il 19enne, che stava analogamente sperimentando episodi ripetuti di C. difficile e si era sottoposto a un trapianto di materiale fecale per combatterla, ha avuto un miglioramento dei sintomi senza necessità di altri trattamenti.
Nonostante i pazienti avessero entrambi più fattori di rischio per forme gravi di Covid-19, nessuno dei due si è particolarmente ammalato. “Una possibile spiegazione è che il trapianto abbia mitigato gli esiti più avversi, potenzialmente attraverso l’impatto sulle interazioni microbioma-immunità – hanno affermato gli autori dello studio – . La nostra osservazione principale da questi casi è che nei pazienti Covid-19 il trapianto è sicuro e di efficacia comparabile al trattamento nelle infezioni ricorrenti (come da C. difficile)”.
“Questi dati – concludono gli autori – ci consentono di ipotizzare che la manipolazione del microbioma intestinale possa meritare ulteriori studi come strategia immunomodulante nei casi di Covid-19”.