Il coronavirus può aumentare il rischio di perdita della memoria
Un crescente numero di studi e segnalazioni indica che l’infezione da coronavirus può portare allo sviluppo di una serie davvero complessa di sintomi. Ne parlavamo anche qui riportando che, oltre ai polmoni, anche cuore, reni e cervello possono andare incontro danni a lungo termine. La probabilità che un paziente Covid-19 sviluppi conseguenze indirette dell’infezione non è ancora stata determinata in quanto le diverse ricerche seguono i sopravvissuti per periodi di tempi differenti. Tuttavia, alcuni ricercatori suggeriscono che alcune caratteristiche del virus, come la sua propensione a causare un’infiammazione diffusa, possano aumentare il rischio di perdita della memoria e declino cognitivo.
“È ormai chiaro che molti pazienti Covid-19 presentano sintomi neurologici, dalla perdita dell’olfatto al rischio di ictus – dice a The Conversation la professoressa Natalie C. Tronson, neuroscienziata e docente di Psicologia dell’Università del Michigan – . Ci sono però anche conseguenze più durature per il cervello, come l’encefalomielite mialgica, nota anche come sindrome da stanchezza cronica, e la sindrome di Guillain-Barré, una neuropatia post-infettiva. Questi effetti possono essere causati da un’infezione virale diretta del tessuto cerebrale ma un numero crescente di ricerche suggerisce che ulteriori azioni indirette innescate dall’infezione virale a carico delle cellule epiteliali e del sistema cardiovascolare, o attraverso il sistema immunitario e l’infiammazione, contribuiscono a cambiamenti neurologici duraturi nei pazienti che sono sopravvissuti a Covid-19”.
Durante l’infezione, spiega Tronson, le cellule che si occupano della difesa immunitaria nel sistema nervoso centrale si attivano, rilasciando grandi quantità di segnali infiammatori e modificando il modo in cui comunicano con i neuroni. “Per un tipo di cellule, le microglia, questa attivazione comporta un cambiamento della loro conformazione in seguito al quale si muovono, individuando e distruggendo i potenziali agenti infettivi che incontrano lungo il loro percorso. Un altro tipo di cellule neuroimmuni, gli astrociti, avvolge le connessioni tra i neuroni e rilasciano segnali infiammatori, prevenendo così i cambiamenti nelle connessioni tra i neuroni che immagazzinano i ricordi”.
“Poiché Covid-19 comporta un massiccio rilascio di segnali infiammatori , l'impatto di questa malattia sulla memoria può sia provocare effetti a breve termine, sia determinare cambiamenti a lungo termine nella memoria, nell’attenzione e nella cognizione. C’è anche un aumento del rischio di declino cognitivo e demenza, compreso il morbo di Alzheimer, correlato all’età”.
In altre parole, secondo la professoressa Tronson la segnalazione infiammatoria mediata dalle cellule neuroimmuni può compromettere in modo permanente la memoria. “Ciò può verificarsi attraverso un danno permanente alle connessioni neuronali o ai neuroni stessi e anche attraverso cambiamenti più sottili nel modo in cui funzionano i neuroni”.
Come premesso, non è ancora noto fino a che punto l’infezione da coronavirus possa incidere sull’insorgenza di patologie neurologiche. Tuttavia, i potenziali effetti a lungo termine di Covid-19 possono essere estrapolati dall’osservazione di altre infezioni virali. “Le infiammazioni lievi come lo stress cronico – ha aggiunto Tronson – sono ora riconosciute come fattori di rischio per la demenza e il declino cognitivo durante l’invecchiamento. Nel mio laboratorio, io e i miei colleghi abbiamo inoltre osservato che anche in assenza di infezione batterica o virale, l’attivazione della segnalazione infiammatoria per un breve periodo provoca cambiamenti duraturi nella funzione neuronale nelle regioni cerebrali legate alla memoria e disturbi della memoria”.