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Il caffè va bevuto dopo la colazione, non prima: questo studio ci spiega perché

Un team di ricerca internazionale guidato da scienziati dell’Università di Bath (Regno Unito) ha dimostrato che bere il caffè come prima cosa dopo il risveglio – soprattutto dopo aver passato una notte insonne – altera il metabolismo del glucosio, riducendo fino al 50 percento la tolleranza del nostro organismo. Per questo gli scienziati raccomandano di fare sempre prima colazione, e poi di prendere il caffè.
A cura di Andrea Centini
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Il caffè va bevuto dopo aver fatto colazione e non prima come fanno in molti, soprattutto per tenersi svegli dopo una notte “tormentata”. Se il nostro organismo entra in contatto come prima cosa col caffè, infatti, si può determinare un'alterazione nel metabolismo del glucosio, che riduce la nostra capacità di tollerare lo zucchero che introduciamo a colazione. L'impatto della bevanda è così forte che la risposta al glucosio nel sangue può essere ridotta del 50 percento.

A raccomandare di consumare il caffè solo dopo aver fatto colazione è un team di ricerca internazionale guidato da scienziati del Centro per la Nutrizione, l'Esercizio e il Metabolismo dell'Università di Bath, Regno Unito, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Educazione Fisica della National Taiwan Normal University di Taipei (Taiwan). Gli scienziati, coordinati dal professori James Betts ed Harry Smith, docenti presso il Dipartimento della Salute dell'ateneo britannico, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver coinvolto 29 volontari in un curioso esperimento e averne valutato la tolleranza al glucosio.

L'esperimento è stato condotto in tre fasi: nella prima i partecipanti dormivano normalmente e al mattino veniva chiesto loro di consumare una bevanda zuccherina (con una concentrazione di glucosio pari a quella di una tipica colazione); nella seconda fase i partecipanti sono stati letteralmente tormentati per tutta la notte dagli scienziati, che li disturbavano per 5 minuti ogni ora fino al risveglio, quando hanno dovuto consumare nuovamente la bevanda zuccherina; la terza fase è stata condotta come la seconda, con la differenza che invece di dover consumare soltanto la bevanda zuccherina, è stato chiesto ai partecipanti di bere un caffè forte mezzora prima. Dopo ogni fase sono stati raccolti campioni di sangue per le analisi di laboratorio.

Dalle analisi è emerso che la sola notte insonne (seconda fase) non ha influenzato in modo negativo le risposte glicemiche/insuliniche, in pratica il metabolismo del glucosio, ma se ad essa si aggiunge il caffè (terza fase) prima della colazione, si determina una notevole alterazione metabolica, con una ridotta tolleranza allo zucchero del 50 percento. “In parole semplici, il nostro controllo della glicemia è compromesso quando la prima cosa con cui i nostri corpi entrano in contatto è il caffè, specialmente dopo una notte di sonno tormentato. Potremmo migliorare la situazione mangiando prima e poi bevendo caffè in seguito, se ne sentiamo il bisogno. Può avere importanti benefici per la salute per tutti noi”, ha dichiarato il professor Betts in un comunicato stampa. “Questi risultati mostrano che una notte di sonno interrotto da sola non ha peggiorato la risposta glicemica / insulinica nei partecipanti che hanno consumato la bevanda zuccherata rispetto a quelli che hanno riposato normalmente. Per molti, tuttavia, iniziare una giornata dopo una nottataccia con un caffè forte ha un effetto negativo sul metabolismo del glucosio di circa il 50 percento”, gli ha fatto eco il professor Smith.

Poiché mantenere i livelli di zucchero nel sangue sotto controllo è importante nel contesto di malattie quali il diabete di tipo 2 e gli eventi cardiovascolari, secondo gli autori dello studio è importante non gettarsi a capofitto sul caffè anche dopo aver passato una notte svegli, ma farlo sempre dopo la colazione. I dettagli della ricerca “Glucose control upon waking is unaffected by hourly sleep fragmentation during the night, but is impaired by morning caffeinated coffee” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata British Journal of Nutrition.

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