Il batterio virtuale: prima forma di vita riprodotta al computer
Si chiama Mycoplasma genitalium e la sua caratteristica è quella di essere la più piccola forma di vita autonoma – quindi con l’eccezione dei virus, che per “vivere” hanno bisogno di invadere un altro organismo. Da oggi, il piccolo e banale Mycoplasma ha un suo gemello virtuale che vive all’interno di un computer. Per la prima volta al mondo, ricercatori dell’Università di Stanford sono riusciti a realizzare attraverso un computer la copia esatta di un organismo vivente. Un risultato che apre orizzonti importanti sia a livello teorico – per la comprensione dei meccanismi di base della vita – che a livello pratico, grazie alle possibili ricadute nella bioingegneria e nella medicina.
Il genoma più piccolo del mondo
La difficoltà più grande nel replicare al computer una forma di vita sta nella complessità del suo genoma. Il nostro possiede decine di migliaia di geni, ma Mycoplasma ha il pregio di avere il genoma più piccolo al mondo, composto da appena 525 geni. Anche così, comunque, riuscire a riprodurre tutti i parametri vitali regolati dal DNA è un’impresa improba. Per farlo, i ricercatori sono riusciti a ricondurre tutti i processi biologici del batterio ad appena 28 algoritmi. Hanno cioè abbandonato il tipico approccio riduzionista al problema della vita, che si limita a considerare il genoma come una semplice sequenza di geni, ognuno operante per conto proprio. La vita è in realtà il prodotto di migliaia e migliaia di interazioni tra i diversi geni, perciò la sfida più importante per i biologi – dopo aver completato la lettura del genoma e aver quindi raccolto i dati di partenza – è quella di ricostruire queste interazioni; cosa ancora più difficile se la ricostruzione dev’essere poi riprodotta al computer.
Una volta portata a termine questa straordinaria impresa, si può avere un modello virtuale di una cellula (il nostro minuscolo batterio) perfettamente identico al suo omologo reale, e diventa possibile studiarne il comportamento come se osservassimo un batterio in vitro. Non solo: in futuro, gli esperimenti di biotecnologia e di medicina potrebbero essere svolti “virtualmente”, modificando o sopprimendo l’espressione di un particolare gene e verificando come reagisce il modello al computer. Qualcosa insomma di molto simile alla “vita artificiale” che il guru della biotecnologia, Craig Venter, la cui Celera Genomics portò per prima a termine la mappatura del genoma umana, ha promesso a breve.
Vita sintetica, vita virtuale
Lo stesso Venter insieme ai suoi ricercatori aveva puntato gli occhi sul Mycoplasma genitalium come prima forma di vita riproducibile in forma sintetica. Nel 2008 sulla rivista Science venne pubblicato un articolo a firma della sua équipe al J. Craig Venter Institute che annunciava la sinterizzazione del genoma del batterio. Questa versione artificiale, denominata JCVI-1.0, replicava tutti i geni tranne uno, soppresso per impedire l’espressione delle sue capacità patogeniche. Gli oligonucleotidi che compongono il DNA erano stati sintetizzati chimicamente, poi assemblati in vitro e “clonati” all’interno di altre forme batteriche, come l’E. Coli. Al termine dell’operazione, il nuovo genoma sottoposto a sequenziamento risultava identico a quello del batterio originale.
Il risultato ottenuto a Stanford è di natura diversa, anche se rientra sempre negli esperimenti sulla vita artificiale. Invece di sintetizzare chimicamente il genoma, i ricercatori l’hanno trasformato in bit, riproducendolo virtualmente. Un procedimento di gran lunga più economico anche se il risultato finale è esattamente lo stesso: una copia esatta dell’originale. Ora, gli informatici che hanno portato a termine il progetto sognare di creare dei Bio-CAD, software sul modello dei CAD utilizzati in architettura, ingegneria e aeronautica per realizzare modelli fedeli del prodotto finale, impiegati in questo caso nella realizzazione di modelli di forme di vita biologiche. Utilizzare i CAD nella bioingegneria potrebbe permettere di perfezionare la produzione di nuovi farmaci, soprattutto nel settore di frontiera della medicina personalizzata. Ma per questo bisognerà aspettare ancora.
Il prossimo obiettivo è naturalmente qualcosa di più grosso. Purtroppo, appena più sopra del Mycoplasma troviamo forme batteriche composte da migliaia e migliaia di geni, e quindi la sfida in termini di complessità sarà ben più ardua. Ma mettendo insieme migliaia di ricercatori e di computer, l’obiettivo potrebbe non essere impossibile. Jonathan Karr, il biofisico di Stanford primo firmatario della scoperta, guarda in avanti e sogna un nuovo Progetto Genoma Umano: “Occorrerà lo sforzo di una comunità veramente grande per avvicinarci a un modello umano”. Ma la prima pietra è stata posta.