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Identificati i geni che permettono di ritardare la menopausa

A modulare l’invecchiamento riproduttivo nelle donne sono quasi 300 variazioni genetiche e circa 80 geni, di cui due hanno mostrato di poter prolungare la vita riproduttiva di circa il 25%.
A cura di Valeria Aiello
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Nonostante l’aspettativa di vita sia notevolmente aumentata negli ultimi 150 anni, l’età in cui la maggior parte delle donne entra in menopausa è rimasta relativamente costante, attestandosi intorno ai 50 anni. Questo perché ogni donna, fin dalla nascita, possiede un corredo di ovociti che, con il passare degli anni, e dunque con l’ovulazione mensile, si riduce progressivamente, fino a quando la maggior parte delle cellule uovo è scomparsa, sebbene la fertilità naturale diminuisca sostanzialmente prima.

Il complesso dei meccanismi biologici che regolano l’invecchiamento riproduttivo non è però  stato ancora completamente compreso. Una nuova ricerca, pubblicata su Nature, ha tuttavia permesso di identificare quasi 300 variazioni genetiche e circa 80 geni che modulano l’arrivo della menopausa, accrescendo significativamente le conoscenze sulla perdita della capacità riproduttiva femminile e sulle possibilità di preservarla. Un potenziale, quest’ultimo, esplorato dai ricercatori che, in alcuni esperimenti di laboratorio sui topi, hanno dimostrato di poter prolungare il periodo riproduttivo attraverso la manipolazione di alcuni dei geni associati alla durata della vita riproduttiva.

Queste nuove scoperte, rese possibili da una collaborazione internazionale che ha coinvolto gli accademici di oltre 180 istituzioni, “potrebbero inoltre portare a miglioramenti nelle opzioni di trattamento della fertilità“, come evidenziato dalla professoressa Eva Hoffmann dell’Università di Copernaghen che, insieme ai colleghi dell’Università di Exeter, dell'Unità di Epidemiologia del Medical Research Council dell’Università di Cambridge e dell’Istituto di Biotecnologia e Biomedicina dell’Università autonoma di Barcellona, ha identificato le nuove varianti genetiche legate l’invecchiamento riproduttivo. Tra le istituzioni coinvolte nella ricerca, anche diversi centri italiani, fra cui l'Istituto San Raffaele di Milano, il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) di Cagliari e il Burlo Garofolo di Trieste che congiuntamente hanno analizzato i dati genetici di centinaia di migliaia di donne presenti in due banche dati (UK Biobank e 23andMe) per un totale di circa 13,1 milioni di varianti genetiche.

Gli studiosi hanno osservato che molti dei geni associati alle variazioni legate all’invecchiamento riproduttivo sono collegati a processi di riparazione del DNA, tra cui i geni CHEK1 e CHEK2. Questi due geni, in particolare, quando manipolati nei roditori (spegnendo CHEK2 e sovraesprimendo CHEK1) hanno portato a un prolungamento della vita riproduttiva di circa il 25%. Una constatazione confermata anche dallo studio sulle donne che mancano naturalmente dell’espressione attiva del gene CHEK2 e che gli studiosi hanno scoperto entrare in menopausa in media 3,5 anni più tardi.

Anche se c’è ancora molta strada da fare, combinando l’analisi della genetica umana con gli studi sui topi, oltre a esaminare quando questi geni vengono attivati ​​negli ovociti, ora sappiamo molto di più sull’invecchiamento riproduttivo – ha dichiarato il professor John Perry del Medical Research Council dell’Università di Cambridge e autore senior dello studio – . Questo ci dà anche spunti su come prevedere quali donne potrebbero avere una menopausa precoce e aiutare a evitare alcuni problemi di salute legati ai tempi della menopausa”.

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