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I farmaci per l’ipertensione non comportano rischi nei pazienti COVID

Mettendo a confronto i dati di pazienti con COVID-19 ricoverati in ospedale che hanno continuato ad assumere farmaci contro l’ipertensione con altri che hanno sospeso la terapia, un team di ricerca internazionale ha dimostrato che l’uso di questi diffusi medicinali non comporta alcun rischio di complicazioni e non aumenta il tasso di mortalità per l’infezione. La raccomandazione degli esperti è di proseguire con l’assunzione dei farmaci.
A cura di Andrea Centini
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I più comuni farmaci utilizzati per tenere sotto controllo la pressione alta (ipertensione) sono sicuri per i pazienti con COVID-19, l'infezione provocata dal coronavirus SARS-CoV-2. Nello specifico si tratta dei farmaci ACE-inibitori (ACEI – angiotensin-converting enzyme inhibitors) e degli antagonisti o bloccanti del recettore dell'angiotensina (ARB – angiotensin receptor blockers), tra i più prescritti in assoluto a livello mondiale. Solo negli Stati Uniti, secondo i dati dei CDC, circa 50 milioni di adulti americani assumono medicinali per curare l'ipertensione, e l'83 percento assume proprio ACEI o ARB. Poiché il patogeno emerso in Cina sfrutta il recettore ACE-2 delle cellule umane per "agganciarsi" attraverso la proteina S o Spike, gli scienziati avevano ipotizzato che farmaci in grado di interagire con esso potessero avere un effetto negativo (o positivo) in chi viene contagiato dal coronavirus SARS-CoV-2. Ora un nuovo studio conferma che i pazienti con problemi di pressione possono continuare a prendere questi farmaci senza preoccuparsi; in molti, infatti, durante la pandemia hanno chiesto di sospenderli proprio sulla base dei risultati di studi preliminari diffusi dalla stampa e delle opinioni di alcuni specialisti.

A confermare che i farmaci ACEI e ARB per la pressione alta non comportano complicazioni per i pazienti con COVID-19 è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati dell'Università Statale della Pennsylvania di Philadelphia, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi della Scuola di Medicina dell'Università Duke, dell'Ospedale Nazionale “Carlos Alberto Seguín Escobedo” di Lima (Perù), dell'Università Cattolica di Buenos Aires (Argentina), della Divisione di Nefrologia dell'Università di Stanford e di altri istituti sparsi per il mondo. Gli scienziati, coordinati dal professor Julio A. Chirinos, docente di Medicina Cardiovascolare presso la Scuola di Medicina Perelman dell'ateneo della Pennsylvania, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver condotto uno studio randomizzato sui dati di 152 pazienti con COVID-19, tutti ricoverati in ospedale tra il 31 marzo e il 20 agosto 2020 e che assumevano regolarmente uno dei due farmaci per la pressione. L'età media dei partecipanti era di 62 anni, il 45 percento era composto da donne e circa la merà aveva il diabete.

I partecipanti sono stati assegnati casualmente a due gruppi; al primo è stato chiesto di proseguire con la terapia a base di ACE-inibitori e bloccanti del recettore dell'angiotensina, ai secondi di interromperla. Per verificare l'impatto del prosieguo della terapia o del suo stop nell'evoluzione della COVID-19, il professor Chirinos e i colleghi hanno tenuto in considerazione quattro distinti parametri: quanto tempo è trascorso prima dell'eventuale decesso; la durata del trattamento con ventilazione meccanica o ossigenazione extracorporea a membrana (ECMO); la durata della terapia sostitutiva renale e un punteggio basato sulla valutazione dell'insufficienza d'organo. Incrociando tutti i dati, è emerso che proseguire con la terapia per la pressione o interromperla non ha avuto alcun effetto sulle complicazioni o sulla mortalità da COVID per i pazienti.

“All'inizio della pandemia i pazienti erano preoccupati dei rischi per la propria salute, sulla base di informazioni limitate e incomplete e, sfortunatamente, alcuni hanno insistito nel chiede l'interruzione dei farmaci. Tuttavia, l'inutile interruzione di questi farmaci può aumentare il rischio di gravi complicazioni, tra cui infarto e ictus”, ha dichiarato in un comunicato stampa la professoressa Jordana B. Cohen, primo autore dello studio e specialista in elettroliti renali e ipertensione dell'Università della Pennsylvania. “Ora abbiamo prove di alta qualità a sostegno della nostra raccomandazione che i pazienti debbano continuare a prendere i farmaci come da prescrizione”, ha aggiunto la scienziata. I dettagli della ricerca “Continuation versus discontinuation of renin–angiotensin system inhibitors in patients admitted to hospital with COVID-19: a prospective, randomised, open-label trial”, che fa parte dell'ampio progetto di studio chiamato REPLACE COVID, sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica The Lancet Respiratory Medicine.

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