Hard disk e DVD addio: i dati si salveranno sul DNA
La nuova rivoluzione nell’archiviazione dei dati è dietro l’angolo. Dopo i passi da gigante degli ultimi decenni, dal floppy disk al CD, passando per hard disk sempre più capienti e per DVD capaci di superare i limiti fisici dei compact disc, siamo vicini a una soluzione che risolverà tutti i problemi di spazio e di conservazione dei dati. E non dovremo cercare molto lontano, guardando a supporti high-tech usciti da film di fantascienza o a soluzioni fantasiose come il cloud computing. La soluzione è dentro di noi: è il DNA. Se ne parla da qualche anno e ormai gli ultimi ostacoli sembrano essere superati, se è vero che ricercatori dello European Bioinformatics Insitute sono riusciti a memorizzare in un filamento sintetico di DNA svariate foto, i sonetti di Shakespeare e persino la registrazione audio del celeberrimo discorso di Martin Luther King, I have a dream. Parole appropriate, visto che lo stoccaggio dei dati in DNA sintetici rappresenta il sogno dell’informatica di nuova generazione.
Dati conservati per migliaia di anni – Non è difficile immaginare il perché. Nella corsa alla miniaturizzazione, un filamento di DNA grande pochi nanometri rappresenta la frontiera finale che supera tutti i possibili limiti fisici della legge di Moore offrendo una soluzione naturale e duratura. Siamo qui a testimoniare, infatti, che l’informazione custodita nel DNA resiste inalterata per svariate generazioni, migliaia e forse centinaia di migliaia di anni. Più di quanto potremmo osare sperare per tutti i supporti elettronici attualmente in uso, che non resistono alla prova del tempo. Quanta informazione può essere archiviata lì dentro? Parecchia. Qualcosa come un centinaio di milioni di ore di video in alta qualità. Di sicuro potreste metterci dentro tutti i film che sono stati prodotti fino a oggi nel mondo. In un solo filamento di pochi nanometri.
Dal bit al trit – Gli ostacoli non sono pochi, considerando le difficoltà di scrittura e lettura del DNA (pensiamo che le stesse cellule, frutto di una selezione naturale di miliardi di anni, hanno problemi a trascrivere il codice genetico). Nick Goldman e Ewan Birney spiegano sulla rivista Nature, dove hanno pubblicato i risultati della loro ricerca, come è stato possibile risolvere il problema degli errori prodotti dalle ripetizioni di una stessa lettera: innanzitutto ogni bit d’informazione viene tradotto in un trit, composto non da due ma da tre numeri (0, 1 e 2), che consente un maggior numero di combinazioni limitando le ripetizioni. A ogni trit corrisponde un nucleotide. Poi, il codice viene diviso in diversi frammenti sovrapposti, dopodiché si crea un indice che mostra dove si trova ogni frammento all’interno del codice. Attraverso uno schema di codifica, è possibile ricostruire l’informazione evitando le ripetizioni. “In questo modo, per fallire si dovrebbe avere lo stesso errore su quattro diversi frammenti, evento davvero raro”, assicurano.