Gli antichi Egizi conoscevano (e misuravano) le stelle variabili
Le solide conoscenze astronomiche dell’Antico Egitto ci sorprendono ancora oggi, come sorpresero il greco Erodoto duemilacinquecento anni fa. Ma una recentissima ricerca suggerisce una rivelazione clamorosa: gli antichi sacerdoti-astronomi egiziani sapevano che alcune stelle subiscono una variazione della luminosità ed erano riusciti a calcolarla. E poiché la scoperta – o in questo caso meglio parlare della riscoperta – delle stelle variabili risale al XVII secolo, non c’è da stupirsi che la cosa abbia lasciato di stucco gli scienziati. La scoperta arriva infatti da un giovane finlandese, Sebastian Porceddu, una laurea in astronomia e un’altra in egittologia all’Università di Helsinki dove nel 2006, nel corso degli studi, ha fatto la sua scoperta. Il suo filone di ricerca si concentrava sull’individuazione di possibili periodicità di fenomeni come gli impatti meteoritici o le macchie solari, quando una collega egittologa gli ha suggerito di andare a cercare prove negli antichi calendari, in particolare un tipo di calendario mistico usato nell’Antico Egitto che distingueva i giorni fausti da quelli infausti.
Come calcolare i giorni infausti – I calendari mistici egiziani non hanno nulla a che vedere con i nostri. Un vecchio adagio di tanto tempo fa ricordava che di martedì e di venerdì non ci si sposa e non si intraprendono viaggi, per esempio, ma nell’Antico Egitto i giorni fausti e quelli infausti ricorrevano in maniera molto meno prevedibile. A parte alcune costanti, come il primo giorno del mese che è sempre buono, sembrava che non ci fosse nessuna regolarità nel distinguere un giorno positivo da uno negativo. La loro importanza era tuttavia rilevante, perché su tali basi si decideva quando iniziare a costruire un’abitazione o mettersi in viaggio. Applicando un metodo statistico all’analisi di questi calendari per cercarvi delle regolarità nascoste, Porceddu ha scoperto che nel cosiddetto Codice del Cairo, redatto su un papiro risalente al Nuovo Regno, tra il 1550 e il 1069 a.C., esistono in effetti due periodicità: una pari a 29,5 giorni, poco sorprendente, perché segue il ciclo lunare su cui si basano anche i nostri mesi; l'altra, assai più misteriosa, pari a 2,85 giorni.
La periodicità di Algol – Nessun oggetto astronomico noto all’epoca dell’Antico Egitto ha una simile periodicità: né la Luna, né il moto dei pianeti del Sistema Solare, né l’attività del Sole. Ma, andando ad analizzare i dati astronomici oggi in nostro possesso, è stato possibile scoprire che Algol, una stella variabile, possiede un simile intervallo tra un picco di luminosità e quello successivo. Situata a 93 anni-luce dalla Terra, nella costellazione di Perseo, Algol è tra le più note ed evidenti variabili estrinseche. La sua luminosità varia perché periodicamente – poco meno di ogni tre giorni – la visuale che ne abbiamo dalla Terra viene eclissata dal passaggio di una stella compagna, all’interno di quello che oggi sappiamo essere un sistema stellare triplo. Mentre Algol A è una stella nella sequenza principale, cioè nel fior fiore dei suoi anni, come il nostro Sole, Algol B è alla fine della sua vita. Buona parte della sua massa viene sottratta dalla sua superficie da Algol A.
L'Occhio di Horus – La luminosità di Algol varia in realtà ogni 2,867 giorni che vuol dire un periodo più lungo di circa venti minuti rispetto a quello presente nel calendario egizio. Ma lo scarto potrebbe non essere imputabile a un errore di osservazione, quanto a un effettivo aumento nel tempo. Infatti, nel giro di circa tremila anni, l’afflusso di massa da una stella all’altra dovrebbe aver lievemente dilatato il ciclo di “eclissi” di Algol A e B. Calcoli alla mano, un aumento di circa venti minuti sembra decisamente spiegabile attraverso questo modello astrofisico. Secondo Porceddu, gli antichi egizi identificavano Algol come l’Occhio di Horus, una delle loro principali divinità. Gli antichi greci chiamavano Algol “la stella del demonio”, cosa che ha già portato alcuni studiosi a ritenere che a quell’epoca fosse conosciuta la sua variabilità. Ma la scoperta di Porceddu retrodaterebbe ancora di più la scoperta dell’esistenza di stelle variabili, un concetto che nel medioevo non sarebbe mai stato concepibile, essendo in disaccordo con la dottrina aristotelica dell’immutabilità delle stelle fisse. Questo spiega perché c’è voluto così tanto tempo per riscoprirle, e fornisce una nuova conferma delle notevoli conoscenze astronomiche degli antichi.