Gatti fluorescenti: l'ultima frontiera scientifica americana
I PRIMI GATTI TRANSGENICI DELLA STORIA – Ha suscitato non poche perplessità la notizia della sperimentazione scientifica compiuta su alcuni gattini nella Clinica Mayo, nello Stato americano del Minnesota. Il biologo molecolare della clinica Eric Poeschla, responsabile dello studio internazionale pubblicato su "Nature Methods", ha annunciato di avere prodotto tre gatti transgenici: ha inserito nel loro genoma un gene proveniente da una medusa (che produce fluorescenza) per esaminare la resistenza di un ulteriore gene introdotto che sembra resistere al virus dell' immunodeficienza felina (FIV).
Lo studio ha suscitato una comprensibile diffidenza e critiche da parte degli animalisti, ma secondo alcuni potrebbe invece avere dei risvolti per la ricerca scientifica davvero innovativi. I gattini "modificati geneticamente" potrebbero dare origine a una tipologia di razza resistente, ma soprattutto, grazie allo step successivo (ovvero lo studio comparativo con l'analoga malattia umana, l'HIV) potrebbero esserci dei benefici anche circa la salute umana.
LA PROTEINA FLUORESCENTE VERDE – Le critiche mosse contro gli studiosi della Clinica Mayo, accusati in particolar modo di vivisezione, sembrano però fuori luogo: non è la prima volta che si utilizza questo famoso gene che codifica la proteina fluorescente verde (in inglese GFP) in altri organismi viventi. La GFP è una proteina che si ritrova nella medusa Aequorea victoria ed è diventato uno strumento diffuso per esperimenti e tecniche di biologia molecolare. La proteina, se colpita ed eccitata da una radiazione ad una specifica lunghezza d'onda, emette una luce di colore verde acceso, ma non ha effetti collaterali, difatti non c'è nessuna modifica "sostanziale" per l'organismo in cui viene inserita. Serve per osservare gli organi senza il bisogno di ferire o uccidere l’animale-cavia.
BENEFICI DELLA RICERCA SUI GATTINI – Il genoma dei gatti corrisponde per il 90% con quello umano; da qui l’importanza di sperimentare su animali con un genoma simile al nostro, così da riuscire a comprendere come determinate malattie agiscono nell'organismo umano. Lo studio a cura del dottor Poeschla è singolare anche perché è il primo ad essere sperimentato su dei gatti, in precedenza erano stati utilizzati topi e scimmie: ecco la nuova frontiera della ricerca.
La novità ancora più importante: secondo i risultati della ricerca, i gattini sono in grado di trasmettere i geni anti-FIV (e quindi verosimilmente anti-HIV) anche alla prole. Da qui si evince l'importanza di questa sperimentazione: anche se la tecnica non sarà utilizzata direttamente su soggetti affetti da malattie autoimmuni, sarà di certo fondamentale e utile per comprendere il funzionamento della patologia in sé.