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Covid 19

Dopo quanto tempo si diventa negativi al coronavirus? Lo rivela uno studio italiano

Circa la metà dei pazienti è ancora positiva a 30 giorni dalla diagnosi di Covid-19 e a 36 giorni dalla comparsa dei primi sintomi. Il tempo di negativizzazione aumenta con l’età e la gravità della malattia. Non è però ancora chiaro per quanto tempo si è contagiosi.
A cura di Valeria Aiello
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Uno dei temi più dibattuti di questa pandemia è quello relativo ai tempi di guarigione. Affinché un paziente Covid-19 sia dichiarato completamente guarito, in Italia si utilizza il criterio del doppio tampone negativo, vale a dire che è necessario che la persona che ha contratto l’infezione si sottoponga a due tamponi a distanza almeno di 24 ore l’uno dall’altro e che entrambi i test diano esito negativo. Questo per verificare l’eliminazione (clearance) del virus dall’organismo, cioè la completa scomparsa di Rna virale di Sars-Cov-2 rilevabile nei fluidi corporei. In sintesi, solo in presenza di due tamponi negativi, sia nel caso degli asintomatici sia di coloro che hanno sviluppato i sintomi della malattia, è possibile considerare una persona – che nel frattempo era mantenuta in isolamento in casa o in ospedale, in base al decorso della malattia – completamente guarita. Lo scorso giugno, in considerazione anche dell’impossibilità dei Paesi con minori risorse, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha raccomandato di rispettare un isolamento di almeno dieci giorni dalla comparsa dei sintomi più altri tre senza sintomi (totale 13 giorni) per i pazienti che hanno sviluppato i segni della malattia, mentre gli asintomatici possono lasciare l’isolamento domiciliare 10 giorni dopo la diagnosi di positività. In Italia, in ogni caso, si è scelto di continuare a utilizzare il criterio del doppio tampone negativo per poter considerare una persona clinicamente guarita e non più contagiosa.

Dopo quanto tempo si diventa negativi al coronavirus?

La ricerca non ha ancora chiarito per quanto tempo dalla diagnosi di Covid-19 un positivo trasmette l’infezione alle altre persone. È infatti possibile che un tampone positivo indichi solo la presenza di tracce del genoma virale ma che la persona non sia più contagiosa. Un nuovo studio italiano ha però evidenziato che circa la metà dei pazienti risulta ancora positiva a 30 giorni dalla diagnosi e che il tempo di negativizzazione aumenta con l’età e la gravità della malattia.

L’indagine, pubblicata sulla rivista British Medical Journal Open, è stata condotta da un gruppo di epidemiologi e ricercatori dell’Azienda Unità Sanitaria Locale – IRCCS di Reggio Emilia su 1162 pazienti sintomatici risultati positivi al virus tra il 27 febbraio e il 22 aprile 2020. Dai risultati dello studio è emerso che “la clearance virale è stata raggiunta dal 60,6% dei pazienti con un tempo mediano di 30 giorni dalla diagnosi e 36 giorni dall’esordio dei sintomi”. In altre parole, quasi la metà dei pazienti sintomatici è risultata ancora positiva a un mese dal primo tampone.

Un’osservazione alla quale si sono aggiunte indicazioni circa i determinanti correlati. “Il tempo di clearance virale aumenta con l’età e la gravità della malattia” spiegano i ricercatori italiani, ritenendo dunque più opportuno “posticipare i test di follow-up dei pazienti clinicamente guariti, per aumentare l’efficienza e le prestazioni del tampone”. Secondo gli studiosi è dunque poco utile ripetere il test del tampone già dopo due o tre settimane dalla diagnosi. Riguardo invece la comprensione della durata della diffusione virale, questa “ha anche implicazioni per le misure di contenimento dei soggetti paucisintomatici”, ovvero presentano scarsi sintomi della malattia.

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