Dammi il tuo DNA e ti dirò chi sei
Fino a oggi siamo stati abituati a considerare il nostro genoma, ossia la sequenza di nucleotidi che costituisce il DNA che abbiamo incuneato in ogni cellula del nostro corpo, come strettamente privato e anonimo. Anche se la sequenza finisse su Internet diventando di pubblico dominio, non ci sarebbe modo di risalire al suo proprietario. Ebbene, ci sbagliavamo. Diverse ricerche hanno dimostrato che è possibile, analizzando il cromosoma Y, quello maschile, che ereditiamo da nostro padre, ricostruire la genealogia e risalire al nome e cognome che abbiamo. Se la cosa vi sembra di poco conto, pensate al fatto che il genoma potrebbe rivelare una vostra tendenza genetica all’alcolismo o all’abuso di droghe: dati che, se finissero sulla scrivania di un potenziale datore di lavoro, difficilmente vi faciliteranno nell’avere quel posto per cui avete invece tutte le carte in regola. Uno scenario da fantascienza, ed è infatti quello tratteggiato nel film Gattaca di Andrew Niccol dove l’unico curriculum che conta è quello che emerge dall’analisi di una goccia di sangue del vostro polpastrello. Il rischio di un “grande fratello” genetico sta cominciando a prendere forma.
La privacy del genoma
Già sono accaduti casi in cui individui che non conoscevano i loro genitori biologici sono riusciti a risalire al loro padre naturale attraverso un sequenziamento del proprio DNA e una comparazione dei risultati con i genomi presenti in una banca dati. Esistono infatti dei veri e propri social network dove ci si iscrive e si cercano le affinità parentali attraverso comparazioni reciproche del proprio DNA. Su uno dei più famosi, “Ancestry.com”, potete far sequenziare il vostro genoma a soli 99 dollari e poi caricalo sul sito, dove ci sono già migliaia di iscritti. Questo vi permetterà di scoprire i lontani legami di parentela con persone di cui ignoravate l’esistenza, e magari scoprire che siete di origini ebraiche, indiane o persino etiopi. Tutto questo avviene con l’esplicito consenso di chi si iscrive, ma non sempre è così.
Ormai chiunque può permettersi di far analizzare il DNA e ottenere la sequenza del proprio genoma. I prezzi sono scesi a ritmi vertiginosi da quando, nel 2000, fu annunciata la conclusione del Progetto Genoma Umano che aveva richiesto anni di lavoro e centinaia di milioni di euro per ottenere la sequenza di un solo genoma. Il prezzo per un’analisi di livello altamente professionale è di poche migliaia di euro, ma se si desiderano dati un po’ più grezzi ci si può accontentare per appena 100 euro. Le stime indicano che nei prossimi anni anche le analisi più raffinate scenderanno a questa cifra. A questo punto, tutti ci faremo analizzare il genoma in cerca di propensioni allo sviluppo di tumori o malattie genetiche, e magari faremo sequenziare anche il DNA dei nostri animali domestici. Questa mole di dati dovrà essere sottoposta a regole stringenti per non diventare di pubblico dominio. Lo scandalo WikiLeaks ha dimostrato che il Dipartimento di Stato americano ha chiesto segretamente alla proprie ambasciate di raccogliere campioni di DNA (capelli caduti, saliva nei fazzoletti) dei leader mondiali. Conoscere i difetti del genoma dei capi di governo dei vari paesi può garantire un vantaggio tattico agli Stati Uniti, i cui servizi segreti sono ben attenti, a quanto fanno sapere fonti anonime interne, a disinfettare o distruggere tutto ciò che il presidente Obama tocca: lenzuola, bicchieri, fazzoletti e così via.
Se il DNA finisce su Facebook
Ora, ai partecipanti del Personal Genome Project, un programma per sequenziare il genoma di centomila persone di modo da ottenere un database sufficientemente rappresentativo della popolazione mondiale, si informa del rischio che i dati genetici possano entrare in possesso di terzi. Quale compagnia di assicurazioni sarebbe disposta a far stipulare una polizza sulla vita a una persona che dimostra forti propensioni a malattie genetiche che potrebbero portarla a un decesso prematuro? Il problema è che questi dati non sono verità assolute. “Si tratta di un’informazione probabilistica, non certa, il cui impatto deve essere attentamente valutato”, spiega Sergio Pistoi, ex biologo molecolare e oggi giornalista, autore di Il DNA incontra Facebook. Un libro in cui racconta la storia del’analisi del suo genoma a opera della compagnia americana “23andme”, inviando il campione della sua saliva e ottenendo come risposta la sequenza del DNA e una serie di indicatori genetici di malattie potenziali. “Con un sospiro di sollievo”, scrive Pistoi “noto che per quasi tutte le malattie più comuni il rischio genetico riportato è intorno alla media: nulla, quindi, di sorprendente, spaventoso o ineluttabile; piuttosto una lista di patologie con associata la probabilità statistica di svilupparle, o forse no”.
La risposta, naturalmente, non è quella di proibire il sequenziamento genetico. Si tratta di un’area di ricerca di frontiera che in una prospettiva di medio periodo ci renderà in grado di ottenere terapie personalizzate, conoscendo anche la nostra reazione ai farmaci. Ma conoscendo i rischi che si corrono – e che si correranno sempre di più nei prossimi anni – in termini di privacy, l’esigenza di una regolamentazione per la protezione dei dati genetici più stringente di quella attuale sembra impellente. C’è chi si diverte, oggi, a pubblicare il proprio genoma su Facabook. Un’operazione apparentemente innocua, anche divertente. Ma nella Rete c’è già chi cerca quei dati, che potrebbero prima o poi finire nelle mani sbagliate.