Cosa succede se i Paesi poveri non avranno accesso ai vaccini Covid
Nessuno di noi sarà fuori pericolo finché non avremo sconfitto ovunque il virus. Questo è l’avvertimento che arriva dalla comunità scientifica che sottolinea la necessità di un accesso globale ai vaccini anti-Covid e i rischi connessi alla monopolizzazione delle forniture da parte dei Paesi più ricchi.
Vaccini Covid, il 75% in soli 10 Paesi
Secondo il database digitale Our World in Data, al 19 febbraio sono state somministrate oltre 200 milioni di dosi in tutto il mondo. Di queste, quasi 60 milioni negli Stati Uniti, 25 milioni nell’Unione Europea, 18 milioni nel Regno Unito, 7 milioni in Israele e 40 milioni in Cina (al 9 febbraio). Complessivamente, stima l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il 75% della fornitura mondiale è finita in soli 10 Paesi mentre in circa 130 Paesi non è stata ancora somministrata una singola dose.
“I Paesi più ricchi sono sulla buona strada per accumulare oltre 1 miliardo di dosi in più di quelle di cui hanno bisogno per vaccinare completamente tutti i propri abitanti […] lasciando miliardi di persone con poche speranze di ricevere un vaccino quest’anno” indica un’analisi della One Campaign.
Una prospettiva di una vaccinazione lontanissima in molti dei Paesi più poveri che, davanti a una pandemia che non rispetta né confini né divisioni razziali o di classe, minaccia più di una catastrofe umanitaria perché fino a quando il virus continuerà a circolare incontrollato in qualsiasi parte del Pianeta “avrà ulteriori opportunità di mutare, eludere i vaccini e minare la ripresa economica globale – denuncia l’OMS, scagliandosi contro le politiche di accaparramento – . Si tratta di una strategia autolesionista che costerà vite e mezzi di sostentamento”.
Il rischio di varianti e contagio
Ogni nuovo contagio fornisce un’occasione di mutazione per Sars-Cov-2 che, come tutti i virus, va incontro a cambiamenti dovuti a processi di evoluzione e adattamento. Ad oggi, esistono già oltre 4mila varianti di Covid-19 e alcune di queste, come la sudafricana, la brasiliana e quella inglese, hanno già dimostrato poter fornire un vantaggio selettivo al virus, come un’aumentata trasmissibilità o la capacità di sfuggire alla risposta immunitaria indotta da precedenti infezioni o dalla vaccinazione. Ogni nuovo contagio rappresenta dunque un rischio in termini di aumento della diffusione virale o di peggioramento della situazione epidemiologia non solo nelle aree in cui hanno origine.
L’unico modo per evitare che emergano nuove e forse più pericolose varianti mutate è rallentare drasticamente la trasmissione del virus. Per riuscire in questa impresa, la vaccinazione rappresenta oggi l’arma più efficace ma è evidente che, per condurre una campagna di vaccinazione globale, dovranno mobilitarsi i Paesi più ricchi, a partire dagli Stati Uniti che, nell’incontro virtuale dei leader del G7 di venerdì, attraverso il presidente Joe Biden, hanno rivelato un contributo di 2 miliardi di dollari a Covax, l’iniziativa globale promossa dall’OMS per garantire un accesso rapido ed equo a vaccini anti-Covid ai Paesi a basso e medio reddito.
Biden ha inoltre affermato che si impegnerà a versare ulteriori 2 miliardi di dollari in base ai contributi delle altre nazioni e al raggiungimento degli obiettivi di somministrazione delle dosi. Analogamente anche il Regno Unito, che si è assicurato dosi sufficienti per coprire quattro volte la sua popolazione, si è impegnato a inviare la maggior parte dei futuri vaccini in eccesso a Covax, mentre l’Unione Europea raddoppierà il contributo di ulteriori 500 milioni di euro, portando a 1 miliardo il sostegno Ue.
Covax punta a vaccinare almeno il 20% della popolazione dei Paesi più poveri entro la fine di quest’anno, partendo nelle prossime settimane con la distribuzione del siero di Astrazeneca. Uno sforzo importante ma probabilmente non sufficiente a risolvere completamente il problema. “Il solo modo è riuscire in un multilateralismo che produca risultati” ha detto il presidente francese Emmanuel Macron al Financial Times, invitando i Paesi più ricchi a destinare il 5% delle loro attuali forniture di vaccini alle nazioni in via di sviluppo, specialmente in Africa. “Non si tratta di diplomazia dei vaccini, non è un gioco di potere. È una questione di salute pubblica”.