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Covid 19

Cosa significa che i vaccinati con Pfizer hanno meno anticorpi attivi contro la variante indiana

L’indicazione arriva dai ricercatori britannici che hanno confrontato la concentrazione di anticorpi in grado di bloccare l’ingresso delle diverse varianti virali nelle cellule: “Il livello diretto contro quella indiana è cinque volte inferiore a quello contro il ceppo originario”.
A cura di Valeria Aiello
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La quantità di anticorpi in grado di riconoscere e combattere la variante indiana B.1.617.2, recentemente rinominata dall’OMS mutazione “Delta” del coronavirus, è in media inferiore a quella diretta contro altre varianti nei vaccinati con il siero di Pfizer-BioNTech. Lo indicano i dati di un nuovo studio condotto dai ricercatori britannici del Francis Crick Institute e del National Institute for Health Research (NIHR) dell’University College London Hospital (UCLH) Biomedical Research Centre, pubblicato come lettera di ricerca sulla rivista scientifica The Lancet. I risultati indicano anche che il livello di questi anticorpi è più basso all’aumentare dell’età e che diminuisce nel tempo, fornendo un’ulteriore prova a sostegno di una terza somministrazione di richiamo alle persone più vulnerabili in autunno, oltre a supportare la nuova strategia vaccinale del Regno Unito, dove in risposta alla diffusione della nuova variante virale si è deciso accorciare da 12 a 8 settimane l’intervallo tra la prima e la seconda dose.

Cosa indica il livello di anticorpi neutralizzanti

Cosa significa? E che vuol dire che il livello di anticorpi capaci di bloccare l’ingresso della variante indiana nelle cellule (i cosiddetti anticorpi neutralizzanti) è minore di quello diretto contro le varianti di Sars-Cov-2 già in circolazione? Il solo livello di anticorpi neutralizzanti, è bene ricordarlo, non riflette direttamente l’immunità acquisita in seguito alla vaccinazione. Anche quantità inferiori possono essere associate a protezione dalla malattia, come riportavamo anche qui, indicando una serie di studi che ha valutato il ruolo di specifiche cellule immunitarie (linfociti T) nel contribuire alla protezione da Covid-19.

In altre parole, la sola concentrazione di anticorpi nel sangue non indica esplicitamente il livello di immunità, in quanto alla difesa immunitaria cooperano diversi tipi di risposta, compresa quella cellulare. A sostegno di queste conclusioni, del resto, anche le stime di efficacia dei vaccini nella popolazione comunicate dalla Public Health England, l’agenzia del Dipartimento della Sanità, che hanno indicato come il ciclo vaccinale a due dosi di Pfizer-BioNTech e AstraZeneca sia “altamente efficace” nel proteggere dalla malattia sintomatica causata dal ceppo indiano. Nel caso del vaccino di Pfizer, la protezione conferita da due dosi è dell’88% contro B.1.617.2, mentre AstraZeneca è efficace al 60%. Tuttavia, per entrambi i vaccini, l’efficacia di una singola dose è solo del 33% nelle tre settimane successive alla prima somministrazione.

Allora, perché valutare la concentrazione di anticorpi neutralizzanti e la loro attività contro i diversi ceppi virali? La spiegazione è semplice e arriva dagli stessi ricercatori che hanno portato avanti lo studio pubblicato su The Lancet: il livello di anticorpi neutralizzanti è un buon predittore dell’efficacia della vaccinazione, pertanto il confronto della loro attività nei confronti delle diverse varianti può fornire indicazioni utili a valutare i potenziali rischi della circolazione di ceppi mutati.

Meno anticorpi attivi contro la variante indiana

Nello specifico, gli studiosi hanno analizzato in laboratorio i campioni di sangue donati da 250 persone vaccinate con Pfizer, oltre a valutare i tamponi eseguiti nell’ambito dello studio Legacy, in modo da monitorare il cambiamento del rischio di infezione e la risposta alla vaccinazione in relazione ai diversi ceppi in circolazione. In tal senso, il titolo di anticorpi neutralizzanti è stato esaminato contro cinque diverse varianti di Sars-Cov-2 – il ceppo originario emerso a Wuhan (Cina); il ceppo dominante in Europa durante la prima ondata del 2020 (D614G); la variante inglese B.1.1.7 (Alpha); la variante sudafricana B.1.351 (Beta); e il sottotipo B.1.617.2 di variante indiana (Delta).

Neutralizzazione delle diversi varianti virali dopo una e due dosi di vaccino Pfizer / The Lancet
Neutralizzazione delle diversi varianti virali dopo una e due dosi di vaccino Pfizer / The Lancet

L’analisi ha permesso confrontare la risposta anticorpale in grado di bloccare l’ingresso delle diverse varianti nelle cellule, indicando che il livello di anticorpi diretto contro la variante B.1.617.2 è cinque volte inferiore rispetto a quello contro il ceppo originario (sulla cui sequenza sono stati sviluppati gli attuali vaccini). “È importante sottolineare – indicano i ricercatori in una nota – che questa risposta anticorpale era ancora più bassa nelle persone che hanno ricevuto solo una dose”. Dopo una singola dose di Pfize-BionTech, infatti, il 79% delle persone ha avuto una risposta anticorpale neutralizzante contro il ceppo originario rispetto al 50% nei confronti di B.1.1.7, il 32% per B.1.617.2 e 25% per B.1.351.

Il coronavirus resterà probabilmente in circolazione per ancora del tempo, quindi dobbiamo rimanere vigili e attenti – ha sottolineato Emma Wall, consulente per le malattie infettive dell’UCLH e Senior clinical research fellow dello studio Legacy – . Il nostro studio è progettato per essere reattivo ai cambiamenti della pandemia, in modo da poter fornire rapidamente prove sull’evoluzione del rischio e della protezione”.

La cosa più importante – ha aggiunto – è garantire che la protezione del vaccino rimanga sufficientemente alta da tenere il maggior numero possibile di persone fuori dall’ospedale. E i nostri risultati suggeriscono che il modo migliore per farlo è somministrare rapidamente seconde dosi e fornire richiami a coloro che hanno un’immunità che può non essere abbastanza alta contro queste nuove varianti”.

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