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Covid 19

Cosa sappiamo degli altri due coronavirus che potrebbero infettare gli esseri umani

Uno dei due, identificato in Malesia, è simile a un coronavirus trovato nei cani. L’altro, isolato ad Haiti, potrebbe essere stato trasmesso dai maiali all’uomo. In entrambi i casi le infezioni risalgono a diversi anni fa, ma solo oggi (con la maggiore attenzione su Sars-Cov-2) si è arrivati alla loro scoperta.
A cura di Valeria Aiello
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Con l’evoluzione della pandemia di Covid-19, praticamente tutta l’attenzione della comunità scientifica si è spostata sui coronavirus. Questa ha portato, in tempi record, allo sviluppo di vaccini anti-Covid e alla crescente ricerca di nuovi farmaci per il trattamento dell’infezione. Ma anche a chiarimenti circa il rischio di trasmissione di virus e altri patogeni dagli animali all’uomo. Il fenomeno, chiamato spillover zoonotico, ha fatto comprendere a più livelli di costituire una seria minaccia per la salute delle persone, e la dimensione della pandemia che stiamo attraversando – le cui origini sono attualmente al centro delle indagini dei ricercatori – lasciato intendere solo in parte la reale portata del problema.

I coronavirus in natura

Sars-Cov-2 (con tutte le sue varianti) è infatti solo uno dei ceppi virali della specie Sars-related coronavirus, di cui fa parte anche Sars-Cov, il virus che causò l’epidemia di Sars tra il 2002 e il 2003. A loro volta, questi due patogeni fanno parte dei Betacoronavirus, uno dei quattro generi della più vasta famiglia Coronaviridae che comprende anche i generi Alphacoronavirus, Gammacoronavirus e Deltacoronavirus in grado di infettare un’ampia varietà di mammiferi ed uccelli. All’interno di questi generi, sono quindi riconosciuti diversi sottogeneri – ad esempio Sarv-Cov-2 e Sars-Cov sono Betacoronavirus del sottogenere Sarbecovirus, mentre Mers-Cov, il patogeno responsabile dell’epidemia di Mers tra il 2012 e 2014, è un Betacoronavirus del sottogenere Merbecovirus.

Oltre questa classificazione che, già di per sé, fa comprendere la complessità di questa famiglia di patogeni in natura, c’è però un altro aspetto da non perdere di vista, rappresentato dalla cosiddetta ricombinazione genetica, per cui due o più coronavirus che co-infettano uno stesso ospite possono scambiare parti del loro genoma, acquisendo informazioni che possono conferire al patogeno uno o più particolari vantaggi, aumentando ad esempio la capacità di infezione, offrendo la possibilità di sfuggire agli anticorpi e persino di infettare più specie animali.

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La minaccia dei due nuovi patogeni

La ricombinazione genetica può dunque dare vita a virus completamente nuovi ed è questo il caso di almeno uno di due nuovi coronavirus isolati, la cui scoperta è stata riportata sulla rivista Clinical Infectious Disease da un team di ricerca internazionale guidato dall’epidemilogo di malattie infettive Gregory Gray della Duke University di Durham, in Carolina del Nord.

In un lotto di campioni testato per i coronavirus, Gray e colleghi hanno identificato un nuovo patogeno associato a polmonite in pazienti ospedalizzati, principalmente bambini. Questo virus, indica il team di studiosi, presenta un mix di geni di quattro diversi coronavirus: due identificati in precedenza nei cani, uno noto per infettare i gatti e un quarto che presenta analogie con un coronavirus dei maiali. I campioni analizzati, spiegano i ricercatori, provenivano da pazienti ricoverati in un ospedale di Sarawak, in Malesia, prelevati nel 2017 e nel 2018. “Si trattava di tamponi nasali profondi, come quelli che i medici utilizzano con i pazienti con Covid-19” ha affermato Gray.

Simile a un coronavirus trovato nei cani

In otto dei 301 campioni testati (2,7%), gli studiosi hanno scoperto che i pazienti erano stati infettati da questo nuovo coronavirus. “La maggior parte del genoma è di un coronavirus canino – ha aggiunto la virologa Anastasia Vlasova della Ohio State University di Wooster e co-autrice principale dello studio – . Prima d'ora pensavamo che i coronavirus canini non potessero essere trasmessi alle persone”. Questo salto di specie, indica la ricercatrice “non era mai stato segnalato prima”.

Il sequenziamento del genoma virale ha però fornito un importante indizio sull’evoluzione del nuovo virus. “Abbiamo rilevato una mutazione (delezione) davvero unica nel genoma” ha evidenziato Vlasova. Questa specifica mutazione non è presente in nessun altro coronavirus di cane noto, ma si trova nei coronavirus che infettano gli esseri umani. “È una mutazione molto simile a quella trovata nel coronavirus Sars e in (varianti di) Sars-Cov-2, emersa molto presto dopo la diffusione del virus nella popolazione”. Questa delezione potrebbe dunque aver aiutato il virus del cane ad infettare o persistere all’interno degli esseri umani e potrebbe rappresentare un passaggio chiave nel salto di specie del patogeno alle persone. “Apparentemente, questa variazione è in qualche modo associata all’adattamento (del virus) durante il salto da animale a uomo”.

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Un’altra caratteristica evidenziata dal sequenziamento è che il nuovo coronavirus identificato dagli studiosi non fa parte dei Betacoronavirus di cui, come detto, fanno parte i virus Sars-Cov, Sars-Cov-2 e Mers. Appartiene invece al genere Alphacoronavirus, rappresentando il terzo patogeno di questo tipo a infettare le persone. Gli altri due causano il comune raffreddore e, nella maggior parte dei casi, queste infezioni vengono contratte nei primi anni di vita. Una caratteristica che potrebbe spiegare perché il nuovo patogeno sia stato isolato principalmente nei bambini che, quasi sempre, vivevano in aree rurali, con frequente esposizione ad animali domestici e fauna selvatica.

Il deltacoronavirus forse trasmesso dai suini

Analogamente, un gruppo di ricercatori dell’Università della Florida ha riportato in un preprint su MedRXiv di un’altra trasmissione zoonotica da serbatoi animali, fornendo per la prima volta la prova che anche i Deltacoronavirus dei suini sono in grado di infettare le persone. Dei quattro generi riconosciuti nella famiglia dei Coronaviridae, finora le infezioni umane segnalate erano infatti limitate agli Alfa e Betacoronavirus, pertanto l’identificazione in campioni di sangue umano di questo ceppo suino di Deltacoronavirus, suggerisce che le persone sono soggette a infezioni da virus animali con una frequenza molto più alta di quanto si pensasse in precedenza.

Nel dettaglio, i ricercatori sono giunti all’identificazione del patogeno in campioni di plasma di tre bambini di Haiti che avevano riportato una malattia febbrile nel 2014-2015. Le analisi genomiche ed evolutive di questo virus hanno indicato che l’infezione umana era “il risultato di almeno due zoonosi indipendenti di lignaggi virali distinti, che hanno acquisito la stessa firma mutazionale a livello dei geni nsp15 e spike”. In particolare, la mutazione a livello della proteina Spike, utilizzata dal patogeno per legare le cellule e penetrare al loro interno, evidenzia “la capacità del deltacoronavirus di adattarsi all’ospite e potenzialmente portare alla trasmissione da persona a persona” indicano gli studiosi.  Se questa sua capacità di infettare le persone sarà confermata, il patogeno potrebbe dunque rappresentare “la minaccia di nuova pandemia” ritengono gli esperti.

Ad ogni modo, nell’insieme, i due rapporti sottolineano che sono assolutamente cruciali ulteriori studi per valutare la frequenza di trasmissione dei coronavirus tra specie diverse, così come il potenziale di diffusione di questi patogeni da persona a persona, evidenziando la necessità di vaccini universali e l’importanza di una maggiore sorveglianza, specialmente nelle aree note per l’emergere di nuovi virus, come i luoghi in cui la popolazione vive a stretto contatto con gli animali, così come i mercati di animali vivi e le grandi fattorie. “Questi salti di specie richiedono anni – ha comunque rassicurato Gray – . Servono diversi passaggi perché un virus possa infettare gli esseri umani e trasmettersi in modo efficiente tra le persone”.

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