Cosa fanno gli scienziati quando studiano i virus “pericolosi” in laboratorio
Come avvengono le analisi di laboratorio quando i ricercatori hanno a che fare con patogeni pericolosi? E quali sono le misure di sicurezza adottate per ridurre al minimo qualsiasi potenziale rischio di contaminazione per l’ambiente e la salute umana? I princìpi di riferimento a livello internazionale sono contenuti nel Protocollo di Cartagena, uno dei documenti della Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD) e, nell’ambito dei diversi Stati, come negli Usa e in Europa, sono stati adottati precisi strumenti normativi utili a garantire i necessari livelli di sicurezza. Ma cosa stabiliscono nel concreto queste norme? E in base a cosa si stabilisce quali misure adottare?
Entrare nel dettaglio delle routine di laboratorio può essere utile per comprendere i principi base della cosiddetta biosicurezza, ovvero il livello di contenimento necessario a mantiene al sicuro scienziati ed ambiente, definendo nel dettaglio le caratteristiche dei controlli e degli spazi di lavoro, come ad esempio l’utilizzo di particolari filtri antiparticolato e la frequenza della loro sostituzione. “Ci atteniamo alle buone pratiche di lavoro in laboratorio e tutti indossano dispositivi di protezione individuale, compresi camici, maschere e guanti “ ha spiegato a The Conversation Jerry Malayer professore di scienze fisiologiche presso il College of Veterinary Medicine della Oklahoma State University, negli Stati Uniti – . A volte utilizziamo sistemi per filtrare l’aria che respiriamo mentre siamo in laboratorio. Inoltre spesso disattiviamo l’agente patogeno che stiamo studiando – essenzialmente dividendolo in modo che non sia funzionale – e lavoriamo sui uno o pochi esemplari alla volta”.
L’aspetto cardine è quello di garantire un adeguato livello di biosicurezza, ovvero “l’insieme di misure per prevenire la perdita, il furto, il rilascio o l’uso improprio di un agente patogeno – ha aggiunto Malayer – . Queste misure includono controlli di accesso, controlli di inventario e metodi certificati per la decontaminazione e lo smaltimento dei rifiuti”. In tal senso, ogni studio deve documentare in anticipo gli esami verranno eseguiti, come, dove e da chi. “Ogni descrizione viene rivista da comitati indipendenti per assicurarsi che i piani delineino il modo più sicuro per svolgere il lavoro. E c’è inoltre un follow-up indipendente da parte di professionisti qualificati all’interno dei singoli istituti e, in alcuni casi, dai Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC), il Dipartimento dell'agricoltura degli Stati Uniti o entrambi, per garantire che i ricercatori seguano le procedure e i regolamenti approvati”.
I livelli di biosicurezza sono quattro. Il livello 1 (BSL-1) e 2 (BSL-2) sono applicati agli spazi di laboratorio in cui il rischio è basso o nullo. “Non funzionerebbero con microrganismi che rappresentano una seria minaccia per persone o animali” commenta Malayer che lavora invece in laboratori con livello di biosicurezza 3. “Il livello 3 (BSL-3) si riferisce a laboratori in cui esiste un rischio individuale elevato ma un rischio comunitario basso, il che significa che esiste un agente patogeno che può causare malattie umane ma non viene trasmesso da persona a persona e la malattia è facilmente curabile”. Infine, c’è il livello di biosicurezza 4 (BSL-4) che, aggiunge Malayer, si riferisce “al lavoro con agenti patogeni che rappresentano un alto rischio di malattia significativa nelle persone, negli animali o in entrambi, che viene trasmessa tra individui e per cui potrebbe non essere disponibile un trattamento efficace”.
A oggi, si stima che esistano appena 50 laboratori con livello di biosicurezza 4 al mondo. “Ad ogni livello, l’aumento del rischio richiede precauzioni sempre più stringenti per mantenere i lavoratori al sicuro e prevenire qualsiasi uso improprio accidentale o doloso”.
Per i ricercatori è fondamentale studiare in laboratorio i nuovi agenti patogeni per capire come si trasmettano da un ospite all’altro piuttosto che comprendere come i microrganismi siano influenzati dalle condizioni ambientali, le mutazioni cui vanno incontro nel tempo e quali terapie, farmaci o vaccini possono essere efficaci. “Oltre ai virus più noti come la rabbia, il virus del Nilo e l’Ebola, ci sono diversi agenti patogeni di importanza critica in circolazione e che rappresentano una seria minaccia – puntualizza Malayer – . Esempi sono gli hantavirus, la dengue , il virus Zika e il virus Nipah, tutti oggetto di indagine in vari laboratori, dove i ricercatori stanno lavorando per capire meglio come vengono trasmessi, sviluppare una diagnostica rapida e terapie efficaci”.