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Il riscaldamento globale farà estinguere un terzo delle specie animali. E l’uomo?

Analizzando l’impatto dell’aumento delle temperature su specie animali e vegetali, anche molto comuni, i ricercatori hanno delineato uno scenario da collasso che il Pianeta potrebbe conoscere nel giro di pochi decenni.
A cura di Nadia Vitali
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Di mutamenti climatici si sente parlare spesso, ma mai abbastanza: non si può, infatti, certamente affermare che la sensibilizzazione degli ultimi anni sul delicato tema del futuro del nostro Pianeta stia portando a qualche tipo di risultato concreto, quanto meno nell'immediato. Nell'attesa che il miraggio del comune accordo tra i Governi di tutto il mondo (o quanto meno, tra quelli dei Paesi industrializzati) si trasformi in realtà, non mancano gli studi tesi ad evidenziare quali sono i cambiamenti in atto e quali potrebbero essere gli eventuali scenari ai quali l'umanità potrebbe andare incontro qualora non intervenissero politiche di contenimento volte a proseguire il lavoro già iniziato con il protocollo di Kyoto, il cui prolungamento fino al 2020 resta, per il momento, uno dei pochi saldi appigli (con tutti i suoi limiti) a cui aggrapparsi in quel mare in tempesta che è il clima impazzito a causa del riscaldamento globale.

Una interessante – benché piuttosto allarmante – riflessione su tema è stata recentemente pubblicata dalla rivista Nature in un articolo a firma di un gruppo di ricercatori australiani, britannici e statunitensi: in esso gli studiosi si soffermano sul rischio di sopravvivenza per specie animali e vegetali, evidenziando come entro la fine del secolo il global warming potrebbe spingere la perdita di biodiversità ben oltre le più drammatiche previsioni. Nella pratica, circa la metà delle piante ed un terzo delle creature animali più comunemente diffuse sul nostro Pianeta potrebbero essere scomparse già a partire dal 2080 non soltanto per le indirette conseguenze legate all'innalzamento delle temperature ma soprattutto per il devastante impatto antropico che, in sempre più territori del mondo, sta causando la perdita degli habitat naturali di tantissime specie. Spiega Rachel Warren, della School of Environmental Sciences presso la britannica University of East Anglia di Norwich, e prima firma dell'articolo:

Mentre si è lavorato ad una gran quantità di ricerche focalizzate sull'effetto del cambiamento climatico sulle specie rare e minacciate, molto poco conosciamo su come un incremento delle temperature globali potrebbe colpire moltissime creature assai comuni. il problema della perdita potenziale di specie diffuse deve essere una preoccupazione seria poiché anche una loro piccola diminuzione potrebbe far collassare interi ecosistemi.

Nel giro di pochi decenni le emissioni di gas serra nell'atmosfera porteranno le temperature a superare di 4 gradi centigradi quelle dell'età preindustriale (e in parte il fenomeno è già visibile nei record registrati tutti negli ultimi anni): ed è ormai noto come il Sole non possa essere considerato il solo imputato in questo fenomeno. Eppure, sottolineano gli esperti, sarebbe sufficiente una riduzione pari al 5% a partire dall'anno 2016 (o, al più tardi, entro il 2030) per far diminuire le perdite fino al 60% e consentire alle specie in pericolo di recuperare mezzo secolo di vita durante il quale tentare di mettere in campo tutte le possibili strategie adattative per imparare a vivere nell'ambiente rapidamente mutato nel quale ci troveremo tutti tra pochi anni. Aree maggiormente colpite, in questo scenario, sarebbero Africa sub-sahariana, America Centrale, l’Amazzonia ed Australia, ma anche la zona settentrionale del continente africano, l'Asia centrale e il Sud est europeo porterebbero su di sé le evidenti conseguenze di inquinamento e distruzione dell'habitat naturale di numerose ed insostituibili specie. Senza contare la concatenazione tra gli effetti che, naturalmente, si farebbero sentire dovunque con diverse modalità ed intensità, e i disagi in termini economici a cui andrebbero incontro moltissime tra le attività umane, prima tra tutte l'agricoltura da cui dipende la nostra stessa sopravvivenza.

I più sensibili saranno rettili ed anfibi mentre soltanto un esiguo 4%, tra le 48.786 specie animali oggetto dello studio (ma alcuna pianta), beneficerà delle temperature più alte. Comprensibilmente, la nostra specie non è tra queste: il peggioramento della qualità di acqua e aria e la forte erosione a cui andranno incontro i territori, ad esempio, saranno la più immediata conseguenza delle perdite nel regno vegetale ed animale: «la purificazione di acqua e aria, la stabilizzazione dei suoli, il nutrimento per la terra sono tra le fondamentali funzioni che spesso diamo per scontate» ha ricordato Rachel Warren. Riportando alla mente tutte le più remote memorie dell'infanzia quando ci è stato insegnato che siamo parte di un tutto che andrebbe rispettato e protetto, pena la fine della catena che ci tiene saldamente uniti gli uni agli altri; in anelli, tuttavia, sempre più fragili che stiamo distruggendo a poco a poco, forse senza neanche rendercene conto.

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