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Colpire un asteroide con una bomba nucleare può davvero salvarci dall’Armageddon

Grazie a un sofisticato software chiamato “Spheral” in grado di prevedere il comportamento dei frammenti di un asteroide distrutto, un team di ricerca americano guidato da scienziati dell’Università Johns Hopkins ha dimostrato che è davvero possibile salvarci dall’Armageddon bombardando con un ordigno nucleare un oggetto pericoloso diretto verso la Terra. Proprio come nei film.
A cura di Andrea Centini
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Circa 66 milioni di anni fa, alla fine del Cretaceo, un asteroide chiamato Chicxulub con un diametro di circa 10 chilometri si schiantò sulla Terra, determinando l'estinzione dei dinosauri non aviani e di molte altre specie animali e vegetali. Fu soltanto una delle grandi estinzioni di massa causate da un evento di questo tipo; secondo gli scienziati, infatti, negli ultimi 540 milioni di anni vi sarebbero stati cinque impatti in grado di spazzare via una parte significativa della biodiversità, più altri di minore portata ma comunque significativi. Del resto la Terra, orbitando nello spazio attorno al Sole, come tutti gli altri corpi celesti è esposta al rischio di essere colpita da grandi asteroidi e comete con conseguenze disastrose. Basti pensare che Chicxulub scatenò un'onda di tsunami alta 1,5 chilometri che si propagò a centinaia di chilometri orari, cui seguirono devastanti incendi e soprattutto l'oscuramento del Sole per anni, a causa dei detriti sollevati. Un altro impatto di questo tipo non è questione di se, ma di quando, e gli scienziati impegnati nella difesa planetaria studiano da anni le strategie per difenderci. Ora, grazie a una nuova ricerca, sappiamo che colpire un asteroide diretto verso la Terra con una bomba nucleare può davvero salvarci dall'Armageddon, come raccontato nell'omonimo film e in altri blockbuster hollywoodiani.

A determinare che un ordigno nucleare può distruggere un asteroide diretto verso la Terra – ed evitare le conseguenze peggiori – è stato un team di ricerca americano guidato da scienziati dell'Università Johns Hopkins, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Lawrence Livermore National Laboratory e del Dipartimento di Astronomia dell'Università della Virginia. Gli scienziati, coordinati dal professor Patrick King, membro del Laboratorio di Fisica applicata presso l'ateneo statunitense, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver messo a punto un sofisticato software – chiamato Spheral – grazie al quale è possibile prevedere le conseguenze di una detonazione nucleare su un asteroide in rotta verso la Terra. L'aspetto più interessante di questa analisi risiede nel fatto che coinvolge un ipotetico asteroide scoperto troppo tardi. Più nello specifico, la direzione dei frammenti dopo la detonazione dell'ordigno nucleare.

La simulazione Spheral. Credit: Johns Hopkins University
La simulazione Spheral. Credit: Johns Hopkins University

Attorno al nostro pianeta, del resto, è pieno di oggetti che devono essere ancora intercettati. Fra essi potrebbero essercene alcuni molto pericolosi. La speranza degli esperti è di individuarli anni/decenni prima della potenziale catastrofe, per deviarne la traiettoria attraverso un cosiddetto impatto cinetico. È l'obiettivo della missione DART, che proverà a colpire un asteroide (innocuo) per verificare le potenzialità di questa strategia. Quando la distanza è grande basta infatti un piccolo spostamento – che si amplifica durante il viaggio fra le stelle – per allontanare l'oggetto dalla Terra. Ma quando l'asteroide viene scoperto a pochi mesi dall'impatto, una deviazione limitata non è più una soluzione praticabile ed è dunque necessario distruggere l'asteroide. Proprio come nei film.

Attraverso il software Spheral, fondamentalmente una complessa simulazione fisica, i ricercatori hanno analizzato gli effetti di una bomba nucleare da 1 megatone lanciata contro un asteroide lungo 100 metri, sufficienti a causare danni notevoli. Sono state condotte varie simulazioni, con l'asteroide colpito su varie orbite e in diversi momenti, da sei mesi dall'impatto fino ad appena una settimana. I ricercatori hanno determinato che colpendo questo ipotetico asteroide con un ordigno nucleare da un megatone è possibile distruggerne/deviarne il 99,9 percento della massa, salvando un'intera città/Regione dalla catastrofe. Nel caso in cui l'asteroide fosse più grande, si otterrebbe una pioggia di detriti analoga (pari allo 0,1 percento della massa totale) se riuscissimo a colpirlo 6 mesi prima del previsto impatto. Il rapporto tra tempo a disposizione e dimensioni dell'oggetto pericoloso è fondamentale per determinare le probabilità di scampare il pericolo, per questo è fondamentale continuare a scandagliare il cielo per andare a caccia di asteroidi non ancora rilevati.

“Se individuassimo troppo tardi un oggetto pericoloso destinato a colpire la Terra per essere deviato in sicurezza, la nostra migliore opzione rimanente sarebbe quella di distruggerlo per fare in modo che gran parte dei frammenti risultanti manchino la Terrala Terra”, ha dichiarato in un comunicato stampa il coautore dello studio Michael Owen. “Questa però è una questione orbitale complicata: se si distrugge un asteroide in pezzi, la nuvola di frammenti risultante seguirà il proprio percorso attorno al Sole, con i singoli frammenti che interagiranno gravitazionalmente fra di essi e con i pianeti. Quella nuvola tenderà ad allungarsi in un flusso curvo di frammenti attorno al percorso originale sul quale si trovava l'asteroide. La velocità con cui quei pezzi si espandono (combinata con il tempo necessario affinché la nuvola attraversi il percorso della Terra) ci indica quanti ne colpiranno la Terra”, ha specificato lo scienziato.

“Il nostro gruppo continua a perfezionare i modelli per la deviazione e la distruzione nucleare, compresi i continui miglioramenti alla modellazione della distribuzione di energia a raggi X, che determina le condizioni iniziali di esplosione e shock per un problema di distruzione nucleare”, ha affermato la scienziata Megan Bruck Syal del Lawrence Livermore Laboratorio Nazionale (LLNL). “Questo ultimo documento è un passo importante nel dimostrare come i nostri moderni strumenti multifisici possono essere utilizzati per simulare questo problema su più regimi fisici e tempistiche significative”, ha concluso l'esperta. I dettagli della ricerca “Late-time small body disruptions for planetary defense” sono stati pubblicato sulla rivista scientifica specializzata Acta Astronautica.

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