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Covid 19

Chi è più sensibile ai gusti amari potrebbe combattere meglio l’infezione da coronavirus

Lo suggeriscono i risultati di un nuovo studio che ha osservato un’associazione tra la capacità di percepire i sapori amari e il rischio di Covid-19: “I recettori del gusto amaro sembrano svolgere un ruolo cruciale nell’immunità innata contro i patogeni del tratto respiratorio superiore, come Sars-Cov-2 e i virus dell’influenza”.
A cura di Valeria Aiello
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Le persone più sensibili ai sapori amari potrebbero essere meno suscettibili all’infezione da coronavirus e combattere meglio malattia. Lo ha scoperto un team di ricerca del Pennington Biomedical Research Center di Baton Rouge, in Louisiana, che ha riscontrato un’associazione tra la capacità gustativa e il rischio di Covid-19. L’analisi ha rilevato che le persone con una minore sensibilità ai sapori amari hanno una probabilità significativamente maggiore di contrarre l’infezione da coronavirus, essere ricoverate in ospedale e rimanere più a lungo sintomatiche. Al contrario, coloro che avvertono con maggiore intensità i gusti amari (super-gustatori) rappresentano una percentuale significativamente più piccola di positivi, secondo i dati pubblicati nel dettaglio sul Journal of the American Medicine Association.

La sensibilità al sapore amaro

Lo studio, condotto su 1935 adulti (età media 45 anni), ha messo in evidenza che, su un totale di 226 casi di positività, 55 persone hanno richiesto il ricovero in ospedale. Di queste, 47 (85,5%) erano soggetti con minore o nessuna sensibilità al sapore amaro e solo 15 dei 266 positivi (5,6%) erano super-gustatori.

L’abilità delle persone a percepire il sapore amaro, collegata alla genetica e in particolare alla variante di un gene del recettore del gusto amaro, chiamato TAS2R38, è stata determinata attraverso un test: ai partecipanti è stato chiesto di descrivere il sapore di cartine trattate feniltiocarbamide, tiourea o benzoato di sodio: le prime due sostanze possono avere un gusto estremamente amaro (oppure non provocare alcuna sensazione) mentre il benzoato di sodio può essere percepito come un sapore dolce, salato, amaro o, anche in questo caso, non determinare alcuna sensazione.

Nell’insieme queste tre prove hanno contribuito a determinare se una persona è o meno un supergustatore, dunque un potenziale portatore del gene del recettore del gusto amaro TAS2R38, e dividere i 1.935 partecipanti dello studio in tre gruppi: 508 (26,3%) erano super-gustatori, 917 (47,4%) erano gustatori e 510 (26,4%) non gustatori, ovvero persone con una percezione del gusto inferiore alla media.

Come detto, alla diversa sensibilità al gusto amaro sembra sia associato non solo il diverso rischio di infezione ma anche la gravità della malattia, che i ricercatori ritengono possa essere legata al modo in cui l’attivazione dei geni del recettore del gusto amaro innescano una reazione immunitaria, principalmente attraverso la produzione di ossido nitrico – un composto che può danneggiare i microrganismi patogeni – dipendente dagli ioni calcio. Questi ioni, a loro volta, potrebbero anche indurre alcune cellule dei tessuti delle vie aeree a rilasciare composti antimicrobici.

Ad ogni modo, l’intuizione dei ricercatori suggerisce un nuovo approccio per la valutazione del rischio di Covid-19, nonché del modo in cui si instaura la malattia. “I recettori del gusto amaro sembrano svolgere un ruolo cruciale nell’immunità innata contro i patogeni del tratto respiratorio superiore – indicano gli studiosi –. Questa scoperta comporta potenziali implicazioni globali nella nostra comprensione dell’infezione da Sars-Cov-2 così come da virus stagionali, come quelli dell’influenza”.

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