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Covid 19

Cani che fiutano il coronavirus, a che punto siamo? L’esperto: “Potrebbero scovare gli asintomatici”

Aldo La Spina, educatore cinofilo e direttore tecnico del Medical Detection Dogs Italy, sede affiliata dell’ente britannico dove è partito il progetto di ricerca: “La fase è sperimentale, si lavora sul virus inattivato e cani già predisposti. Ci vorrà ancora qualche mese ma per la parte pratica, per cui è possibile che ci occuperemo anche noi, possono bastare settimane. L’auspicio è applicare la sensibilità e velocità di segnalazione del cane nel riconoscimento di positivi e asintomatici in luoghi di passaggio, come aeroporti, stazioni dei treni e marittime, evitando così tutto quello che è successo”.
A cura di Valeria Aiello
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Dopo la malaria, il coronavirus. I cani potrebbero svolgere un ruolo di particolare rilievo anche nel prevenire la diffusione del Sars-Cov-2. La Medical Detection Dogs, l’onlus britannica con sede affiliata anche nel milanese, sostiene che siano in grado di fiutare il Covid-19 e segnalare l’infezione anche nelle persone asintomatiche. Potrebbero quindi fornire un metodo rapido e non invasivo di identificazione della malattia, non solo in presenza di sintomi come la febbre. Ma in cosa consiste l’addestramento? E a che punto è la ricerca? Lo abbiamo chiesto ad Aldo La Spina, educatore cinofilo e direttore tecnico del Medical Detection Dogs Italy di Novate che a Fanpage.it ha fatto il punto sul progetto di ricerca partito nel Regno Unito e quanto si sta facendo nel nostro Paese.

Allora direttore, come funziona l’addestramento?
Il progetto impostato dalla nostra casa madre si basa su un’esperienza fatta anche da noi in Italia sulla ricerca di marker tumorali in fluidi biologici, come saliva, urina o sudore. I nostri cani hanno individuato la presenza di tumore al polmone, con una percentuale di affidabilità abbastanza alta, che va dall’80 al 90%. Sulla base della loro esperienza, Claire Guest, la direttrice di Medical Detection Dogs in Inghilterra, ha ipotizzato che il cane possa fare la stessa cosa con il Covid-19.

C’è però da dire che, mentre nel caso del tumore sappiamo su quale fluido lavorare, riuscendo ad avere anche la possibilità di fare ricerche in base alle diverse tipologie di cellule tumorali, riguardo al virus siamo in una fase di studio e identificazione dell’odore perché non conosciamo ancora qual è la sostanza volatile, quello che tecnicamente si chiama VOCs (Volatile Organic Compounds), su cui il cane è in grado di riconoscere e segnalare. Per adesso parliamo quindi di laboratorio ma, alla luce delle esperienze acquisite, si ritiene plausibile che il cane possa trasferire questa abilità al Covid-19.

Aldo La Spina, educatore cinofilo e direttore tecnico del Medical Detection Dogs Italy
Aldo La Spina, educatore cinofilo e direttore tecnico del Medical Detection Dogs Italy

D’altronde, questa stessa capacità è stata traslata sulla ricerca di diversi fattori biologici e malattie. Sempre in Inghilterra, hanno lavorato a una ricerca sulla malaria, addestrando i cani a riconoscere la malattia. Dal Gambia, hanno importato oltre 300 paia di calzini indossati da soggetti positivi e i cani hanno dimostrato la capacità di distinguere il positivo dal negativo. Questo, ovviamente, in collaborazione con l’Istituto di Igiene e Medicina Tropicale e con i ricercatori della Durham University.

Rispetto alla malaria, che una malattia infettiva causata da un protozoo, quindi un microrganismo, nel caso del coronavirus ci sono complicazioni maggiori riguardo il supporto. Stanno lavorando sul virus inattivo e, una volta che questo percorso sarà ultimato, l’auspicio è di poter applicare nella realtà pratica del quotidiano questa sensibilità e la specificità del fiuto del cane. Mi riferisco, ovviamente, a cani addestrati, cioè allenati, e non al cane in generale, che ha una sua capacità olfattiva ma non sa o non vuole, oppure non è interessato a sfruttarla o utilizzarla.

Quali sono, ad oggi, le malattie che possono fiutare?
Un cane, tra virgolette, da laboratorio può riconoscere molecole di tutte le malattie, dalla tubercolosi alle malattie metaboliche, tipo il morbo di Addison e il diabete. Dalle patologie più comuni, tipo narcolessia e l’epilessia – per cui il cane può arrivare addirittura ad avvertire anche un quarto d’ora o mezz’ora prima di una crisi convulsiva – alle più rare come, ad esempio, la sindrome da tachicardia ortostatica che, anche se poco conosciuta, è una malattia molto grave che può creare molti problemi, fino ad essere invalidante.

Diciamo che non c’è un limite perché, per il cane, tutte le malattie “puzzano”. Siamo noi che dobbiamo capire quando e come allenarlo su una malattia specifica. Tra i casi più comuni e più conosciuti, quelli in cui il cane allerta per malattie metaboliche, come appunto il diabete. Un altro caso molto importante è relativo allo shock anafilattico alimentare per cui, anche una quantità infinitesimale di una certa sostanza in un cibo, in una persona allergica può avere conseguenze molto gravi; in tal senso, per esempio, al ristorante, il cane può essere di grande aiuto. Può essere quindi salvavita, anche quando si è da soli, oppure di notte, quando eventuali supporti o strumenti tecnologici hanno dei limiti. E migliora la qualità della vita stessa perché, avendo un rapporto con il proprietario, aiuta anche psicologicamente, ad esempio facendolo uscire di più, per cui si ha più modo di dialogare con l’esterno, e facendolo sentire più sicuro.

E poi, parlando sempre di cani da allerta – e non di cani di assistenza attuativa, cioè di cani guida per ciechi o per sordi, e addetti alla mobilità con le loro specifiche funzioni – sono in grado di segnalare anche malattie che non si vedono. Pertanto, quando il cane ci lecca la faccia o abbaia, esprime un suo segnale identificativo, oppure è in grado di portarci degli strumenti che ci possono aiutare, come glucometro e insulina, o chiamare aiuto. Con i suoi segnali, può far sorgere un dubbio anche in un estraneo che, ad esempio, può chiamare un’ambulanza. E questi, certamente, sono aspetti molto importanti.

Cosa fiuta il cane di diverso? L’odore o la risposta al virus?
Il cane “specializzato” è in grado di riconoscere quel determinato odore per quella determinata malattia o sostanza. Un esempio conosciuto a tutti è quello del cane antidroga, addestrato prima su dei campioni ben precisi, e in grado di segnalare anche in situazioni di applicazione reali. Per le droghe, però, si fa una generalizzazione, per cui il cane arriva a lavorare anche su una ventina di sostanze diverse. Al cane antidroga, in particolare, non si chiede di segnalare la marijuana piuttosto che la cocaina, ma si insegna a segnalarle tutte.

Nel caso del virus, invece, dobbiamo dirgli esattamente quale odore dovrà segnalare, quindi la discriminazione è specifica. Il cane va quindi allenato in maniera selettiva e sarà poi lui a traslare l’odore su uno più generale in cui è mischiato quello dell’uomo, dell’espirato e del sudore trattenuto sugli indumenti o dalle mani. E quindi, anche al vivo, è presumibile che il cane possa segnalare una persona che gli passa davanti.

Ci sono razze che sono “più capaci” di altre?
Sicuramente. Ci sono razze più collaborative, cioè selezionate per avere un desiderio naturale di compiacere l’uomo e collaborare con l’uomo. Non sono razzista ma, avendo preparato cani per una ricerca specifica al tumore con la nostra Medical Detection Dogs Italy, posso dire che l’impiego di razze collaborative permette, per così dire, di giocare facile.

Volendo fare solo degli esempi, un cane da caccia, che ha un suo interesse istintivo per determinati lavori all’esterno e a lavorare sul selvatico, può avere delle doti selezionate perché è più predisposto a collaborare e più concentrato e attento al proprietario. In proposito, nella nostra sede abbiamo preparato anche una femmina di segugio italiano, Helix, che ha lavorato benissimo al progetto in laboratorio, cosa che per un cane da caccia non è facile. Ci sono anche esempi di cani da pastore e cani abituati a lavorare e dedicarsi naturalmente all’uomo che hanno più facilità e tolleranza anche negli ambienti asettici.

E ci sono poi alcune razze più classiche e anche più diffuse, come del resto avviene nella “pet therapy”, soprattutto cani da pastore e da retriever, come i labrador. È chiaro che lavorare su un Golden Retriever è più semplice rispetto a un Akita-Inu, con ovviamente delle eccezioni ma, se vogliamo giocare facile, ci sono delle razze sulle quali purtroppo dobbiamo orientarci, e dico purtroppo perché, quelle che l’uomo ha selezionato come più predisposte, a volte sono sfruttate per un proprio tornaconto.

Potranno fiutare gli asintomaci?
Questo è l’auspicio. Se dai laboratori riusciremo ad avere conferma dell’affidabilità e quindi a identificare su quale supporto potrà poi lavorare il cane, se sull’odore del virus inattivato sui tessuti oppure su fluidi biologici o altro, potremo applicare questo risultato nella realtà. Certamente non si potrà chiedere a una persona scesa dall’aereo di darci un goccio di saliva per farlo annusare al cane ma, molto probabilmente, il cane potrà essere in grado di annusarla al suo passaggio, proprio come avviene per i cani antidroga, segnalando la malattia dall’odore complessivo dei vestiti, dal sudore e dall’esalato. Facendo l’ipotesi di imbarchi e sbarchi dei passeggeri in un aeroporto, diciamo che in un’ora potrebbe annusare anche centinaia di persone che gli passano davanti.

La tempistica di applicazione in luoghi passaggio, quindi nel trasporto aereo, come in quello marittimo e ferroviario, dipenderà dal tipo di addestramento che si dovrà fare, perché sarà ovviamente più facile lavorare su cani già abituati a queste situazioni, come i cani delle Forze dell’ordine. Ci saranno poi da formare anche i conduttori ma, in ogni caso, in tutte le situazioni collettive, uno screening di massa con i cani potrà avere una grande importanza. Ovviamente, non sono l’unico a dirlo.

A che punto siamo?
Come detto, siamo in una fase sperimentale. Ci vorrà ancora qualche mese per valutare l’affidabilità e poter applicare questa sensibilità e specificità del cane al contesto. Nella nostra casa madre, in Inghilterra, dove hanno fatto degli studi, stanno lavorando su cani che sono già predisposti, che sanno cosa fare e annusare.

In Italia, invece, stiamo ancora guardare, perché su certi aspetti di cultura e anche professionali siamo indietro e servirebbe probabilmente affidare di più alla ricerca. Noi, come Medical Detection Dogs Italy seguiremo i progressi del progetto inglese e, quando avremo dei risultati, è auspicabile che anche noi ci occuperemo della preparazione dei cani. Per questa parte pratica, possono bastare anche dodici settimane.

Se tutto sarà confermato, il loro fiuto sarà uno strumento straordinario?
Sì, perché trattandosi di prevenzione, potrà essere un prezioso contributo al nostro futuro. Mi riferisco a quel periodo critico, quando arriverà quella che ci aspettiamo sia la fase di recrudescenza del coronavirus – speriamo ovviamente in forma minore – durante la quale ci saranno grandi movimenti nei trasporti, nei viaggi e in tutte le situazioni del ritorno alla normalità, e non si potranno certamente fare tamponi a tutti. In tutte queste circostanze, la velocità di segnalazione del cane su positivi e asintomatici potrà dare un valido e utile contributo per evitare tutto quello è che successo.

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