Cancro, il rischio è maggiore se ci sono altri casi in famiglia
Non sono solo gli stili di vita e i fattori ambientali a rendere più probabile, per un individuo, sviluppare un tumore in una famiglia in cui parenti di primo grado hanno già avuto casi simili. Secondo la ricerca compiuta dal team guidato dall’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, infatti, tale probabilità risulta più alta per una predisposizione genetica ereditaria. Si tratta fino a oggi della più ampia conferma sperimentale sulla trasmissibilità genetica della predisposizione allo sviluppo del cancro, compiuta in un arco di tempo che va dal 1991 al 2009 su un campione di circa 12.000 soggetti in diverse aree del paese, in particolare nelle province di Forlì, Gorizia, Latina, Padova, Pordenone, Roma, Udine, nonché nelle aree metropolitane di Genova e Napoli, oltre che nel cantone di Vaud in Svizzera.
Rischio maggiore
“In generale, soggetti con parenti di primo grado affetti da cancro sono a più alto rischio di cancro rispetto alla popolazione dello stesso sito”, scrivono i ricercatori nell’articolo pubblicato a luglio sulla rivista scientifica Annals of Oncology. Il rischio risulta più alto per i soggetti più giovani. Le percentuali, pur basate su un solido riscontro statistico, non sono tuttavia particolarmente alte e variano a seconda della tipologia di cancro, dell’età, del sesso. Si va da un 1,2 per il cancro del cavo rinofaringeo a un 7,4 per il carcinoma dell’ovaio. Nei pazienti che presentano tumori a un’età inferiore ai sessant’anni è stata riscontrata una più alta probabilità che parenti di primo grado abbiano già avuto casi di tumori, anche di tipo diverso da quello in esame.
Secondo Carlo La Vecchia, tra gli autori della ricerca, a capo del dipartimento di epidemiologia dell’Istituto Mario Negri, una parte di questa maggiore propensione è spiegabile ricorrendo a cause ambientali, ma fino a un certo punto: “Alcune delle associazioni che sono emerse sono probabilmente dovute alla condivisione, all’interno della famiglia, di abitudini dannose, in particolare il fumo di sigaretta e l’alcol”, spiega su La Repubblica. “Tuttavia, i nostri risultati indicano l’esistenza di diverse sindromi genetiche associate al rischio di questi tumori. Il figlio del fumatore tende a diventare un fumatore, se non lo diventa ha assorbito ‘fumo passivo’ per anni. Vivere fra persone che fumano è un fattore di rischio, soprattutto se questo avviene durante l’infanzia… In questi casi è prioritario cambiare le abitudini di vita. Chi ha una storia famigliare di questo tipo deve smettere di fumare”.
Geni difettosi e stili di vita
Non è facile determinare il motivo della maggiore predisposizione genetica. In alcuni potrebbe trattarsi di una mutazione di alcuni geni che sono stati ereditati dai genitori. In altri casi potrebbe trattarsi di una predisposizione più difficilmente determinabile, come nell’eventualità in cui alcuni geni ereditino una maggiore propensione a sviluppare mutazioni se esposti a fattori ambientali cancerogeni o a stili di vita come il fumo e l’assunzione di alcolici. Tale propensione potrebbe essere ereditabile. Soprattutto nei casi di tumori al tratto digerente, un ruolo decisivo potrebbe essere quello della dieta, condivisa a livello familiare per cultura, stili di vita e aspetti ambientali. È noto per esempio che nella popolazione bianca afrikaner del Sudafrica il tasso di tumori al tratto digerente sia tra i più alti al mondo, a causa di una propensione culturale al consumo in dosi massicce di carne rossa. Stessa cosa per la popolazione del Brasile.
La possibilità di una predisposizione genetica ereditaria nello sviluppo di alcuni tipi di tumori non deve portare a inutili allarmismi, avverte la comunità scientifica. Il recente caso mediatico dell’attrice Angelina Jolie, volontariamente sottopostasi a mastectomia preventiva per eliminare il rischio di sviluppare tumori al seno, non ha trovato ampia condivisione tra i medici. La Jolie ha ricordato che sua madre è morta a 56 anni per un tumore al seno, e che lei ha ereditato lo stesso gene mutante Brca1, considerato il principale fattore cancerogeno ereditario. Ma gli oncologi ritengono che sia possibile evitare trattamenti preventivi, soprattutto nel caso in cui ciò è possibile (carcinomi al seno, alle ovaie e all’utero), attraverso controlli periodici, di modo da intervenire efficacemente nei primissimi stadi nel caso di un’effettiva insorgenza del tumore.