Batterio killer a Verona: “Evento di grande rarità ma molto pericoloso, doveva scattare l’allarme”
Dopo un anno e mezzo di verifiche, la relazione consegnata dalla Commissione ispettiva della regione Veneto ha finalmente fatto luce su quanto accaduto all’interno del reparto di Terapia intensiva neonatale e pediatrica dell’Ospedale della Donna e del Bambino di Borgo Trento, a Verona. È qui che il Citrobacter koseri ha infettato 91 neonati, uccidendone 4. Altri 9 hanno invece sviluppato lesioni cerebrali permanenti. Un vero e proprio evento epidemico dovuto alla contaminazione dell’acqua nei rubinetti e dei biberon. Ma come è possibile che un batterio si sia diffuso in maniera così incontrollata in un ambiente ospedaliero e qual è il reale pericolo di infezione?
A fare chiarezza su quelle che sono le misure di igiene e i fattori di rischio della mancata aderenza ai comportamenti standard è la professoressa Carla Maria Zotti, ordinaria di Igiene generale e applicata del Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche dell’Università di Torino ed esponente della Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SITI), che negli anni ha incentrato la sua attività di ricerca su tematiche relative alle infezioni correlate all’assistenza ospedaliera.
Allora professoressa, cosa sono i Citrobacter e perché sono così pericolosi?
I Citrobacter sono batteri intestinali, si chiamano infatti enterobacteriaceae e non sono particolarmente pericolosi. Nell’adulto sono responsabili di infezioni che colpiscono prevalentemente le vie urinarie ma, essendo batteri che cercano di approfittare delle situazioni di fragilità, in soggetti come i neonati in una terapia intensiva ma anche adulti immunodepressi, possono portare a infezioni più gravi, che si chiamano sistemiche, cioè diffuse nel sangue, come le sepsi e, nel neonato anche a meningiti. Nei soggetti fragili possono quindi decorrere in maniera più grave ma, normalmente, l’infezione da Citrobacter, che nell’adulto è in genere una cistite, è trattabile con antibiotici senza grossi problemi. Purtroppo c’è poi il discorso dell’antibioticoresistenza, che vale non soltanto per Citrobacter ma anche per gli altri batteri, per cui ci possono essere delle difficoltà nel curare le infezioni perché, con il grande uso che abbiamo fatto negli anni di alcuni antibiotici, si sono selezionati batteri resistenti e sempre più difficilmente curabili. Questo può essere un problema nel problema ma, generalmente, il Citrobacter non è uno dei batteri peggiori.
Dove si trovano in natura questi batteri?
Normalmente sono nell’uomo, a livello intestinale ma, per continuità, li ritroviamo nelle infezioni delle vie urinarie. Possono trasmettersi da persona a persona e quindi, ad esempio in ospedale, da paziente a paziente, attraverso le mani degli operatori, oppure può esserci anche una trasmissione da mamma infetta a neonato, magari al momento del parto, anche se si tratta di un evento molto raro. Possono anche sopravvivere nell’ambiente e quindi persistere a livello ambientale, il che fa sì che si possano verificare delle contaminazioni, soprattutto in presenza di acqua. Non è un batterio che contamina i fiumi piuttosto che i mari ma, proprio a livello domestico e ospedaliero, il Citrobacter può essere presente nell’acqua potabile in bassissime concentrazioni, dunque come contaminante ambientale che poi può localizzarsi nell’impianto idrico o raggiungere l’impianto idrico per contatto manuale. Probabilmente questo è quello che è accaduto nell’ospedale di Verona, dove il batterio è stato ritrovato nel frangiflusso dei rubinetti.
Come è possibile che si sia trasmesso in maniera così incontrollata?
Se l’acqua era contaminata e ha portato il batterio nel rubinetto, oppure il batterio ci è arrivato con le mani degli operatori che lo hanno toccato, a quel punto il rubinetto si è contaminato e così è rimasto. Se poi l’acqua è stata utilizzata per le normali pratiche di bonifica dei biberon o, ancora, per preparare il latte che viene somministrato ai bambini, è chiaro che la situazione è diventata particolarmente pericolosa.
In Italia quanto è diffusa questa infezione a livello ospedaliero?
Pochissimo. Nel periodo 2016-2017 abbiamo fatto uno studio a livello nazionale da cui è emerso che negli ospedali italiani c’era un 8% di infezioni correlate all'assistenza. In tutte quelle dovute a batteri, non abbiamo però riscontrato infezioni da Citrobacter. Abbiamo ritrovato tanti altri enterobatteri (33% di tutte le infezioni contratte in ospedale) che, sfortunatamente, sono molto più frequenti e in un piccolo sottogruppo che noi abbiamo indicato con “altri enterobatteri” (4% di tutte le infezioni causate da enterobatteri) è possibile che ci fosse anche un’infezione dovuta a Citrobacter. Tenga però presente che parliamo 1300 infezioni, senza una presenza significativa di Citrobacter. Si tratta quindi di un evento davvero singolare.
Quali sono le misure per scongiurare l’infezione?
Negli ospedali è previsto tutto un lavoro di sterilizzazione oltre a quelle che sono le normali misure di igiene, quindi la sterilizzazione di tutto il materiale che viene utilizzato nei reparti, in particolare nelle terapie intensive neonatali dove ci sono bimbi con tanti problemi. C’è una grande attenzione all’igiene dell’ambiente ed è importantissima l’igiene delle mani degli operatori. Parliamo quindi di condizioni di protezione estrema, anche ad esempio da un punto di vista respiratorio: gli operatori sono protetti anche in questo senso, perché parliamo di bimbi fragili, spesso nati prematuri e che sono nelle culline termiche.
Da quando poi, tanti anni fa, ci si è resi conto che esisteva il rischio di legionella, negli ospedali si è iniziato a lavorare anche sull’acqua dei reparti, per cui oggi ci sono anche controlli costanti sui batteri più comuni. Se però c’è un sospetto di qualcosa di circolante e anormale, si possono benissimo cercare altri batteri, come appunto il Citrobacter.
Era difficile accorgersi dell’infezione?
No, la diagnosi non è difficile. Il Citrobacter viene identificato attraverso un normale esame di laboratorio. Quello che in questa circostanza può essere sfuggito è il ripetersi dell’infezione perché, mentre in un adulto è un fenomeno relativamente frequente, in un neonato si tratta di un evento raro. Quando comincia a ripresentarsi due o tre volte, si deve pensare che si sta verificando qualcosa che non va. Può essere dovuto a un operatore, può essere l’ambiente oppure qualche procedura di sanificazione che non sta funzionando. Quello che si raccomanda da tanto tempo, cioè dalla prima circolare del Ministero della Salute del 1985, è di tenere sotto controllo cosa circola in ambito ospedaliero: se in un reparto si verifica un fenomeno insolito e questo si ripete con una frequenza anomala, la situazione deve essere percepita come un allarme, per cui bisogna cercare la causa per correggere l’errore.
Quale consiglio si sente di dare alle mamme e ai genitori preoccupati da quanto accaduto?
Quello che possono dire è che, in questo momento, a livello nazionale c’è un’organizzazione promossa dal Ministero della Salute: abbiamo un piano nazionale che punta a migliorare i comportamenti in ambito ospedaliero, cioè quel lavoro di sorveglianza che deve essere promosso, e non solo per il Citrobacter, ma per qualsiasi tipo di situazione su cui si deve andare a intervenire. C’è un piano nazionale che si preoccupa di portare a utilizzare al meglio gli antibiotici in tutti i reparti, in particolare in neonatologia e terapia intensiva neonatale, dove in genere c’è grande attenzione perché i pazienti sono particolarmente fragili, spesso con problemi immunitari, e nessuno normalmente gioca con questo tipo di situazioni.
L’infezione da Citrobacter è un evento di grande rarità e, nel caso dell’ospedale di Verona, probabilmente non c’è stata una sufficiente organizzazione dietro alla gestione di questi casi. Mi spiace molto per quanto è accaduto perché, evidentemente, si è trattato di un evento eccezionale che non è stato percepito in tempo: arrivati al secondo caso sarebbe dovuto scattare l’allarme. Ritengo si sia verificata una situazione davvero singolare, ma se fossi nelle mamme che in questi giorni devono partorire, lo farei tranquillamente proprio perché si è trattato di un evento di grande rarità e assolutamente governabile.