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Covid 19

Anche con meno morti e più vaccini, è un errore sottovalutare l’impatto della Long Covid

In questa terza-quarta ondata di contagi da coronavirus SARS-CoV-2 il numero di morti resta contenuto, grazie alla diffusione dei vaccini che offrono una protezione significativa contro il ricovero in ospedale e il decesso. Ciò nonostante, la circolazione del virus alimenta i casi di Long Covid, una condizione caratterizzata da sintomi che possono durare anche oltre un anno. Ecco perché è sbagliato trascurarne l’impatto sanitario, sociale ed economico.
A cura di Andrea Centini
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Alla data odierna, lunedì 2 agosto, in base alla mappa interattiva dell'Università Johns Hopkins dall'inizio della pandemia hanno perduto la vita oltre 4,2 milioni di persone in tutto il mondo, 128mila delle quali in Italia. Nonostante si stia registrando la terza/quarta ondata dei contagi in numerose nazioni, guidata dalla più trasmissibile variante Delta (B.1.617.2, ex seconda indiana) del coronavirus SARS-CoV-2, grazie ai vaccini il numero di ricoverati in terapia intensiva e soprattutto di decessi resta contenuto, soprattutto se rapportato alle precedenti ondate che hanno mandato rapidamente in tilt i sistemi sanitari nazionali. Non è un caso che nel Regno Unito, pur registrandosi una media di 25mila nuove infezioni al giorno, il governo guidato da Boris Johnson abbia comunque dato il via libera al “Freedom Day”, una riapertura praticamente generalizzata delle attività. Secondo gli esperti il "liberi tutti" in queste condizioni epidemiologiche è un grave errore, non solo perché si rischia la nascita di nuove varianti più pericolose, potenzialmente in grado di aggirare anche i vaccini, ma anche perché non si tiene conto di un fattore troppo spesso trascurato in questa pandemia, la Long Covid.

Conosciuta anche come sindrome post-COVID-19 o postumi della COVID-19 a lungo termine, la Long Covid è un insieme di sintomi duraturi che si manifesta in una percentuale significativa di pazienti contagiati dal coronavirus SARS-CoV-2. Non solo in quelli che hanno avuto bisogno di un ricovero in ospedale, ma anche in coloro che hanno sperimentato la forma lieve (paucisintomatica) o addirittura asintomatica dell'infezione. Come spiegato a Metro.uk dalla professoressa Christina Pagel, docente di ricerca operativa presso lo University College di Londra (UCL) e prima direttrice dell'Unità di ricerca operativa clinica (CORU) dell'ateneo britannico, la Long Covid abbraccia oltre 200 sintomi, che in alcuni casi sono presenti anche un anno dopo il superamento della fase acuta della COVID-19. Tra i sintomi più comuni figurano difficoltà respiratorie (dispnea); un senso di oppressione al torace; disturbi del sonno; stanchezza generalizzata; affaticamento; dolori muscolari; nebbia cerebrale (confusione annessa a deficit cognitivi); problemi di concentrazione e vertigini. Ma non mancano problemi intestinali, alterazioni del ciclo mestruale, irritazioni della pelle e molti altri ancora. A questi vanno aggiunti veri e propri danni agli organipiuttosto diffusi nei pazienti che hanno sperimentato la forma severa della COVID-19 e che sono stati ricoverati in ospedale, in particolar modo nei reparti di terapia intensiva.

Per molte di queste persone la qualità della vita è letteralmente crollata e in diverse hanno difficoltà a studiare e a lavorare. Una quota significativa dei pazienti con Long Covid non è nemmeno riuscita a tornare a lavoro dopo l'infezione. Come spiegato dalla professoressa Pagel, tra il 20 e il 30 percento dei pazienti contagiati dal coronavirus SARS-CoV-2 che non ha bisogno dell'ospedale sviluppa sintomi che si protraggono per diversi mesi e oltre. Il maggior numero di casi si concentra tra i 35 e i 69 anni e colpisce principalmente le donne, gli operatori sanitari (ben 122mila nel Regno Unito), gli assistenti sociali e le persone che provengono da comunità svantaggiate, ma può interessare anche fino al 15 percento degli studenti con meno di 16 anni. La scienziata ha spiegato che le scansioni cerebrali effettuate su pazienti che hanno sperimentato la forma lieve della COVID-19 hanno evidenziato come alcune parti del cervello (come quelle legate alla memoria e all'olfatto) sono risultate più sottili del normale, inoltre queste persone hanno ottenuto punteggi peggiori nei test cognitivi. Non si conoscono le conseguenze a lungo termine dell'infezione – lieve o pesante che sia – ed è anche per questo che medici e virologi raccomandano di non prenderselo affatto il virus. Ma con il “liberi tutti” e percentuali ancora significative di persone non vaccinate, i contagi continueranno a crescere inesorabilmente.

Come spiegato dalla Pagel, l'Academy of Medical Sciences ha stimato un picco estivo di 20.000 persone con COVID-19 ogni giorno che svilupperanno la Long Covid. Con 2 milioni di nuove infezioni durante questa estate, il sistema sanitario britannico sarà travolto da 200mila a 400mila pazienti con Long Covid bisognosi di assistenza. Non tenere conto di questa condizione ancora poco conosciuta ma dall'enorme impatto sanitario, sociale ed economico, secondo gli esperti è un errore assolutamente da evitare, anche alla luce del fatto che non esiste un trattamento contro di essa e il supporto è solo sintomatico. Fortunatamente larga parte di questi casi può essere prevenuta attraverso il vaccino, che abbatte dell'88 percento il rischio di infezione – secondo recenti dati dell'Istituto Superiore di Sanità (ISS) — e anche di trasmettere il virus in caso di contagio, alla luce della ridotta carica virale dei vaccinati che risultano positivi. Per questa ragione medici e scienziati continuano a raccomandare la vaccinazione di quante più persone possibili e di far rispettare le misure anti Covid di base (distanziamento sociale, mascherina, lavaggio delle mani), oltre a programmare eventuali restrizioni anche tenendo conto dell'impatto della Long Covid sui sistemi sanitari.

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