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Alzheimer, scoperto un nuovo potenziale bersaglio terapeutico: speranze per una cura

Interrompendo l’interazione tra due proteine attraverso una specifica molecola, un team di ricerca guidato da scienziati dell’Università della California del Sud ha dimostrato che vengono ridotti i livelli di proteine “appiccicose” nel cervello di topi con una condizione simile all’Alzheimer umano, inoltre viene migliorato l’apprendimento. Si tratta di un potenziale bersaglio terapeutico per la più diffusa forma di demenza.
A cura di Andrea Centini
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Scoperto un potenziale bersaglio terapeutico per trattare il morbo di Alzheimer, la devastante e incurabile patologia neurodegenerativa che si stima colpirà 115 milioni di persone nel mondo entro il 2050. Si tratta di una nuova molecola antagonista dell'Apolipoproteina E (ApoE), una proteina che lega lipidi ritenuta uno dei principali fattori di rischio della diffusa forma di demenza. A individuarla un team di ricerca internazionale guidato da scienziati del College di Medicina “Morsani” dell'Università della Florida del Sud, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi dei Dipartimenti di scienze biomediche e patologia presso l'Università Medica di Saitama (Giappone) e del National Institute on Aging Intramural Research Program di Baltimora.

La ricerca. Gli scienziati, coordinati dal professor Darrell Sawmiller, docente presso il Dipartimento di Psichiatria e Neuroscienze comportamentali dell'ateneo di Tampa, sapevano da tempo che colpire l'Apolipoproteina E poteva essere un approccio valido per contrastare l'Alzheimer. Così Sawmiller e colleghi sono andati a “caccia” di molecole antagoniste in grado di bloccarne l'azione; essa, infatti, favorisce l'accumulo di proteine e grovigli appiccicosi nel cervello, che rappresentano una caratteristica distintiva del morbo di Alzheimer. Tra le varie molecole esaminate hanno trovato un ottimo candidato in 6KApoE, che è in grado di bloccare l'interazione tra l'Apolipoproteina E con la proteina precursore dell'amiloide N-terminale (APP).

Risultati. In test di laboratorio Sawmiller e colleghi hanno dimostrato che bloccando questa interazione non solo viene ridotto l'accumulo di beta amiloide e di grovigli di proteina tau nel cervello, ma vengono migliorate anche le funzioni cognitive dei topi geneticamente modificati (classificati con codice 3XTg e 5XFAD) che presentano una condizione simile all'Alzheimer umano. Naturalmente si tratta di dati preliminari su modelli animali che dovranno essere approfonditi e verificati con ulteriori indagini, tuttavia gli scienziati sono ottimisti sul fatto di aver trovato un potenziale valido bersaglio terapeutico per la malattia, con possibili significativi benefici ai pazienti. I dettagli della ricerca “A Novel Apolipoprotein E Antagonist Functionally Blocks Apolipoprotein E Interaction With N-terminal Amyloid Precursor Protein, Reduces β-Amyloid-Associated Pathology, and Improves Cognition” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata Biological Psychiatry.

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