Adesso sappiamo chi sta aumentando il buco dell’ozono con emissioni di triclorofluorometano
C’è qualcuno che continua a contribuire al buco dell’ozono, nonostante i divieti. A quanto pare infatti le quantità di triclorofluorometano emesse nell’aria sono aumentate l’anno scorso e responsabile è la Cina. Vediamo insieme cosa sta succedendo, quali sono i rischi e come hanno fatto gli scienziati a giungere a questa conclusione.
Triclorofluorometano e buco dell’ozono. Il triclorofluorometano è un agente chimico utilizzato principalmente come schiuma per l’isolamento ed è considerato una delle principali cause del buco dell’ozono. In seguito al protocollo di Montreal, le emissioni di triclorofluorometano sono state limitate e sono quindi diminuite, da qualche parte nel mondo per i rilevatori hanno notato che, a partire dal 2013, hanno ricominciato a salire improvvisamente. Il buco dell’ozono è l’assottigliamento dello strato di ozono che è presente nella stratosfera, che ha il compito di assorbire i raggi ultravioletti del Sole: l’indebolimento dell’ozono implica un maggior ingresso di raggi ultravioletti con conseguenze sull’ambiente e sulla nostra salute.
Come l’hanno scoperto. Gli scienziati hanno utilizzato una serie di simulazioni sofisticate a computer e sono riusciti così a determinare quale fosse l’origine delle emissioni eccessive di triclorofluorometano. È emerso dai dati coreani e giapponesi che dalla Cina orientale le emissioni di triclorofluorometano, da partire dal 2012, sono aumentate di circa 7.000 tonnellata all’anno, in particolare nelle province di Shandong e Hebei. Mentre non sono state riscontrati aumenti di emissioni dal Giappone o dalla Corea, così come da altri Paesi.
Il futuro di questa scoperta. Ora che si è capito che in Cina le emissioni di triclorofluorometano stanno aumentando, rivelandosi un pericolo per la salute di tutti, gli scienziati stanno cercando di comprendere esattamente quali siano le industrie responsabili.
Lo studio, intitolato “Increase in CFC-11 emissions from eastern China based on atmospheric observations”, è stato pubblicato su Nature.