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A Genova in mostra la fusione nucleare: energia del futuro?

“Fusion Expo” illustra al grande pubblico il grande progetto ITER per produrre fusione nucleare, in un momento in cui l’esperimento naviga in cattive acque.
A cura di Roberto Paura
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ITER_tokamak

Nell’ambito della decima edizione del Festival della Scienza di Genova, arriva la mostra “Fusion Expo” creata dalla Commissione europea per raccontare al pubblico dei non addetti ai lavori la più grande sfida scientifica del secolo: ITER, il programma che un consorzio internazionale di paesi a guida europea sta portando avanti nel Sud della Francia per la costruzione di un primo reattore nucleare sperimentale a fusione. Una tipologia di energia considerata pulita e sicura, che sfrutta un principio opposto a quello attuale della fissione nucleare: invece di scindere i nuclei per produrre energia, si tenterà di fondere i nuclei tra loro. Lo stesso processo che avviene nel cuore del Sole e nelle bombe H. La sfida è quella di sfruttare questo principio ben noto in modo controllato, per produrre energia potenzialmente infinita grazie a componenti disponibili in abbondanza in natura: idrogeno e litio.

C’è tanta paura, incertezza e scetticismo sul nucleare, ma la stragrande maggioranza dei cittadini ignora il fatto che la fusione non comporta rischi di fuoriuscita di radiazioni – producendo solo elio, inerte, come scarto – né di produzione di scorie che necessitano di tempi biblici per lo stoccaggio. La mostra “Fusion Expo” cerca allora di illustrare la grande sfida tecnologica di ITER, giunto oggi a un costo stimato di 15 miliardi di euro. Una cifra significativa che, in questo periodo di crisi economica, sta producendo non poche difficoltà che ne stanno ritardando i lavori. Lavori complessi e difficili dal punto di vista tecnologico: per ottenere la fusione nucleare controllata è necessario raggiungere temperature e pressioni simili a quelle del nucleo del Sole. Per evitare che anche le pareti del reattore si fondano sotto l’effetto di simili, proibitive condizioni, gli scienziati si servono di un confinatore magnetico del plasma, che funge in po' da parete invisibile. Non sappiamo ancora se in questo modo sarà possibile produrre più energia di quanto necessaria per far funzionare il procedimento. Ma le probabilità sono alte.

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A pesare sono tuttavia i lunghi e complessi procedimenti burocratici. Il consorzio internazionale ITER si basa infatti sul contributo di ciascun paese nella realizzazione e consegna dei singoli pezzi del tokamak, il “cuore” del reattore sperimentale. Ciascuna vite, ciascun bullone viene fornito da paesi diversi. Un sistema estremamente complesso, necessario per far sì che le ricadute tecnologiche della ricerca e sviluppo siano condivise tra tutti i partner; ma che necessita anche di lungaggini burocratiche e gestionali che ora rischiano di ritardare ancora di più il cronoprogramma, la cui deadline è già slittata al 2020. Secondo voci riportate qualche giorno fa dal settimanale Nature, anche se ITER venisse completato nei tempi previsti, i primi risultati potrebbero arrivare non prima della fine del prossimo decennio, tra il 2027 e il 2028. Questo perché, per poter funzionare, la fusione necessita del trizio, un isotopo dell’idrogeno da produrre in proprio, e gli stabilimenti per la sua produzione potrebbero essere completati solo dopo il 2020. Tempi troppo lunghi per la politica, che ragiona molto più sul breve termine. Se qualcuno dei partner decidesse di staccare la spina, la strada per la fusione nucleare diverrebbe ancora più lunga, e più impervia.

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