Un esperimento per scoprire se viviamo in una simulazione
Con lo straordinario progresso dell’informatica e delle capacità di calcolo e memoria dei computer, negli ultimi anni sta prendendo sempre più piede tra i circoli della fisica teorica e degli aspetti filosofici ad essa connessi un’ipotesi fino a poco tempo fa considerata pura fantascienza: che il nostro universo sia una simulazione artificiale che gira su un supercomputer. Già alcuni studiosi di frontiera avevano proposto alcuni metodi indiretti per verificare la fondatezza di questa teoria. Ora, uno studio in corso di pubblicazione e disponibile online sul database di paper scientifici arXiv.org propone un metodo che sfrutta la comparazione tra il nostro universo e le attuali simulazioni prodotte al computer. Gli autori – Siles Beane e colleghi dell’Università di Washington a Seattle – ritengono infatti che anche le più potenti simulazioni dovrebbero fare i conti con un limite nella capacità di imitare la natura.
I limiti di un reticolo
Anche se non è possibile conoscere le tecnologie hardware e gli algoritmi che i computer del futuro – o i computer di un altro universo – impiegheranno nella simulazione, gli studiosi assumono che il tessuto di fondo di un universo simulato resti sostanzialmente identico a quello impiegato ora, ossia un reticolo che rimpiazza il continuum spazio-temporale con una struttura a griglia i cui componenti di fondo (i “pixel”) hanno una dimensione di qualche frazione di femtometro (un femtometro è pari al raggio di un protone o di un neutrone, per intenderci). A questa scala è possibile riprodurre l’universo fino ai suoi componenti ultimi, quelli regolati dalla cromodinamica quantistica, che spiega come interagiscono i quark e i gluoni attraverso la forza nucleare forte che li tiene insieme fino a formare i neutroni e i protoni che costituiscono il nucleo di un atomo. A patto di ignorare la teoria delle stringhe, che considera l’esistenza di un ordine di realtà a scale inferiori, quark e gluoni costituiscono le fondamenta ultime della materia. Simulare la loro dinamica vuol dire quindi riuscire a simulare l’universo alla più piccola scala.
L’evoluzione dei computer nel prossimo futuro, spiegano i ricercatori, permetterà ben presto di riuscire a simulare il comportamento di una cellula, poi di un essere umano e quindi di insiemi sempre maggiori di sistemi complessi. L’universo stesso potrebbe essere una possibilità. Ma alla base resterà sempre una struttura reticolare ipercubica, che è il modo più economico di simulare il continuum spaziotemporale senza perdere i più fini dettagli della fisica quantistica, incluse le fluttuazioni del vuoto quantistico che in ultima analisi costituirebbero i fenomeni fisici di più piccola scala. Dunque, assumendo una struttura spaziotemporale rimpiazzata da un reticolo di scala femtometrica, i ricercatori deducono una conseguenza: l’esistenza di un limite estremo per le energie delle particelle. Le particelle più altamente energetiche conosciute sono quelle dei raggi cosmici: di solito si tratta di protoni estremamente energizzati da fenomeni violentissimi che accadono nell’universo. In una simulazione, la loro energia avrebbe un limite imposto dal fatto che nulla può esistere al di sotto della scala delle singole celle del reticolo.
Scoprire i simulatori
In effetti un tale limite è stato osservato, ed è noto come limite GZK: oltre una certa distanza, al di sopra dei 160 milioni di anni-luce circa, i protoni dei raggi cosmici finiscono per perdere energia perché interagiscono con i fotoni della radiazione cosmica di fondo che permea l’universo. Questa però non sarebbe la prova del nove. Una proprietà del reticolo consiste nel fatto di non essere in grado di rispettare una delle più importanti leggi di simmetria della natura, la chiralità. L’universo, insomma, non apparirebbe uguale da qualunque parte lo si guardi, come invece la teoria della relatività sostiene faccia lo spaziotempo. Ci sarebbe una “direzione preferita”, data dalla simmetria dell’ipercubo che simula lo spaziotempo. Se così fosse, non vedremmo i raggi cosmici arrivare omogeneamente da tutte le parti, ma dovremmo riuscire a scovare una direzione preferita, che seguirebbe l’asse del cubo. Ciò ci permetterebbe di rivelare l’orientamento del reticolo ipercubico su cui gira la simulazione del nostro universo.
Le tecnologie odierne ci impediscono di effettuare questa misurazione, ma nel prossimo futuro diventerebbe possibile mettere alla prova questa ipotesi. Tuttavia, chiariscono gli studiosi, se le celle del reticolo fossero più piccole di una certa scala, pari a 10-12 femtometri, non riusciremmo a distinguere questa rottura di simmetria. Questo vuol dire che dovremmo rinunciare alla possibilità di scoprire prima o poi se il nostro universo è vero o è una simulazione, e metterci l’anima in pace? Non necessariamente. I tre fisici sostengono infatti che, “assumendo che l’universo sia finito e dunque le risorse degli eventuali simulatori siano finite, allora il volume contenente una simulazione sarà ugualmente finito e la spaziatura del reticolo dev’essere diversa da zero; perciò in linea di principio resta sempre la possibilità per il simulato di scoprire i simulatori”.