video suggerito
video suggerito

Successo per ENCODE, svelata la materia oscura del genoma umano

Il consorzio internazionale di ricerca porta a termina la prima tappa del progetto più ambizioso dai tempi del sequenziamento del nostro DNA: la determinazione di tutti gli elementi del genoma umano.
A cura di Roberto Paura
168 CONDIVISIONI
dna1

Quando, nel 2000, la Celera Genomics di Craig Venter portò per prima a termine la corsa alla mappatura del genoma umano, si era ben lontani dall’immaginare quanto complesso fosse il nostro DNA. All’epoca sembrava che solo l’1-2% dei circa 20.000 geni individuati fosse connesso con la produzione delle proteine, i mattoni del corpo umano. A cosa serviva tutto il resto? La tesi dominante è che si trattasse di “spazzatura”, di materiale di risulta dell’evoluzione, non connesso con gli schemi tecnici che permettono la sintesi delle proteine e dunque la costruzione di un essere vivente. Qualcuno non era convinto. Quella “materia oscura” nel nostro genoma doveva avere qualche funzione. Così nel 2003 è nato ENCODE, un consorzio di ricerca con l’obiettivo di realizzare un’enciclopedia degli elementi che compongono il DNA umano – da qui l’acronimo (ENCyclopedia Of Dna Elements) che in inglese vuol dire anche “codificare” – guidato dal National Genome Researh Institute degli Stati Uniti e dall’European Bioinformatics Institute. I risultati sono stati pubblicati qualche giorno fa e rovesciano completamente le precedenti convinzioni sull’argomento.

Gli interruttori del genoma

Inizialmente partito con l’obiettivo di esaminare solo l’1% del genoma, determinando per ciascun paio di coppie azotate la funzione precisa, ENCODE ha poi raggiunto obiettivi sempre più ambiziosi grazie al rapido sviluppo delle tecnologie di sequenziamento del DNA. Ora è stata portata a termine l’assegnazione di una funzione a circa l’80% del genoma, tra cui la maggior parte dello spazio tra i geni considerato fino a poco tempo fa inutile e invece strettamente collegato all’espressione genetica. In pratica, anche se molte di queste parti che compongono la “materia oscura” del genoma non sono associate alla sintesi delle proteine – primo compito di ogni gene – esse sarebbero comunque capaci di regolare l’espressione di geni distanti tra loro e coordinare altre funzioni collegate anche all’emergere di patologie genetiche. Tutto ciò rende naturalmente il nostro genoma enormemente più complesso di quanto finora immaginato, e dimostra che la strada da fare per arrivare a comprenderne appieno le funzioni è ancora lunga.

encode

“Il lavoro è ancora lungi dall’essere completato”, sostiene infatti Ewan Birney, biologo computazionale dell’European Molecular Biology Laboratory, uno dei centri di ricerca europei – con base nel Regno Unito – che costituiscono il consorzio ENCODE. Se si vuole davvero realizzare un’enciclopedia di tutti gli elementi del genoma che non sia solo un semplice elenco di "voci", ma una dettagliata spiegazione della funzione di ogni elemento, si deve ammettere di essere appena al 10% del lavoro complessivo. Per accelerare il lavoro, il consorzio ha ora reso pubblici i dati raccolti (come già venne fatto all’indomani del Progetto Genoma Umano) sul sito istituzionale di ENCODE e attraverso ben 30 paper pubblicati sulle più importanti riviste scientifiche: il numero di Nature di questa settimana dedica la sua copertina al progetto, ospitando il principale paper sul tema; 18 articoli più specifici sono stati pubblicati su un numero monografico di Genome Research; altri 6 su Genome Biology; mentre ulteriori 6 articoli sono in corso di pubblicazione su Science, la rivista Cell, il Journal of Biological Chemistry e altri: ciò da l’idea dell’importanza storica di questo avvenimento. Gli scienziati di tutto il mondo potranno ora studiare i dati per approfondire la comprensione di quel 99% del DNA che fino a poco tempo fa era definito mera “spazzatura”.

nature_encode

Costato fino a oggi 185 milioni di dollari, oltre all’impegno di quasi 450 scienziati, il progetto ENCODE proseguirà nei prossimi anni e porterà i laboratori di ricerca a sviluppare presto nuove terapie genetiche, consentendo – si stima – un ritorno dell’investimento di diversi ordini di grandezza superiore alle cifre spese. Queste aree che dividono i geni gli uni dagli altri nasconderebbero infatti i segreti dell’espressione genica, ossia gli interruttori che accendono o spengono un gene, attivando o disattivando la sintesi proteica. Una volta scoperto il modo di premere a nostro piacimento quegli interruttori, potremmo riuscire a curare numerose malattie che sappiamo essere di origine genetica tra cui, spiega Matt Murano su Science, “alcune malattie autoimmuni come il diabete-1, l’artrite reumatoide, la malattia di Crohn e il lupus, e che coinvolgerebbero il 24,4% del DNA”.

168 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views