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Quando l’essere umano non vedeva il colore blu

Greci, cinesi, islamici, ebrei, hindu: nessuno aveva una parola per definire il blu. Per quale motivo?
A cura di Danilo Massa
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Se dovessimo dire di che colore è il mare, senza dover valutare particolari profondità e fondali, diremmo "blu" senza esitazione. Altrettanto diremmo del cielo di giorno, variando al più con l'alternativa più tenue di "azzurro". Ovvietà che però non sono più tali se, leggendo la ricostruzione di Business Insider, torniamo al passato, nostro e di altre culture, e osserviamo che nel loro vocabolario manca del tutto qualsiasi riferimento a quel colore. Un primo sospetto di tale incapacità lo ritroviamo in William Gladstone, che prima di diventare primo ministro del Regno Unito, nel 1858, da studioso, si chiedeva per quale motivo Omero avesse definito nell'Odissea il mare "nero come il vino". Il politico britannico osservò che quello non è l'unico passaggio del poema epico in cui i riferimenti al colore sono quantomeno bizzarri. Le pecore e il ferro hanno lo stesso colore: sono viola; mentre il miele è verde. Precisamente, osserva ancora Gladstone, il nero viene nominato 200 volte, il bianco 100, il rosso meno di 15, giallo e verde a stento 10.

Il filologo tedesco Lazarus Geiger (1829–1870) riprese il lavoro di Gladstone per capire se l'incapacità dei greci fosse esclusivamente loro. Studiò le saghe islandesi, il Corano, le antiche storie cinesi, la Bibbia in un'antica versione in ebraico. Persino gli Inni vedici, che sono "più di diecimila righe piene di descrizioni del cielo – osserva stupito Geiger -. Difficile che ci sia un argomento più evocato di questo. Il Sole e il progressivo arrossamento al tramonto, il giorno e la notte, nuvole e fulmini, l'aria e l'etere, tutti questi fenomeni si dispiegano innanzi a noi ancora e ancora… ma c'è una cosa che nessuno potrà mai imparare da questi antichi canti… e cioè che il cielo è blu". In tutte queste culture non viene riconosciuto, quasi non visto, di certo non nominato, a volte accorpato al verde o ad un'ombra scura.

"Dio separò la luce dalle tenebre", recita la Bibbia alludendo alla creazione, ma descrivendo così anche uno stimolo sensoriale a cui viene sottoposto il nascituro ed alludendo dunque a come si comincia ad interpretare il mondo. Secondo Geiger nei vocabolari delle culture passate compaiono prima luce e oscurità, quindi bianco e nero. Successivamente il colore del sangue e del vino: il rosso. Poi il giallo e il verde (raramente in ordine inverso). Solo alla fine il blu. Il fatto è che quasi non esistono piante naturali blu, gli occhi chiari sono rari, animali blu idem. Insomma, a cosa doveva servire quel vocabolo? Al mare e al cielo che, per inciso, non sono realmente blu?

Dunque non vedevamo il blu? Per rispondere a questa domanda il ricercatore Jules Davidoff è andato in Namibia è ha sottoposto i membri di una tribù locale degli Himba ad una serie di test. Nella lingua autoctona non esiste una parola che identifichi il blu. In compenso gli Himba hanno a disposizione diversi vocaboli per identificare più tonalità di verde. In un primo test veniva proposto su monitor un cerchio composto da undici quadrati verdi ed uno blu: le persone non riuscivano generalmente a riconoscere il quadrato diverso e, qualora ci riuscissero, la percentuale di errore era incredibilmente alta. In un test successivo i quadrati erano tutti verdi, ma uno con una tonalità diversa. Gli Himba non hanno avuto problemi ad identificare l' "intruso". Voi?

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Tutti vediamo l'intruso, ma pochi tra noi riescono a riconoscerlo. L'incapacità greca di riconoscere il blu potrebbe essere dunque lì. Finché l'essere umano non ha familiarizzato con una determinata tonalità nominandola, non l'ha notata qua e là nel suo paesaggio, non l'ha riconosciuta, pur vedendola, non l'ha osservata. Anche in questo caso, dunque, "dare il nome" è stato un modo per interpretare razionalmente la realtà, gestirla, impossessarsene, eventualmente ricrearla. Basti dire che tra le culture del passato studiate da Geiger solo una parlava esplicitamente dell'equivalente del blu: gli Egizi. I quali, non a caso, creavano il pigmento del blu per ornare edifici, statue, stoffe, esportandole in tutto il bacino Mediterraneo (il quale però, a quanto pare, non lo "nominava"). A proposito di dare un nome: ecco l'intruso del cerchio proposto agli Himba.

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[Foto da Pixabay]

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