Possiamo bere l’acqua del mare senza sale grazie all’energia solare
Ricercatori della Rice University di Houston (Stati Uniti) hanno sviluppato un dispositivo in grado di trasformare l'acqua salata in acqua potabile sfruttando la sola energia solare. L'avveniristico dissalatore, chiamato NESMD, acronimo di nanophotonics-enabled solar membrane distillation, potrebbe rappresentare una vera e propria rivoluzione per questa tipologia di impianti, tenendo presente che ancora oggi oltre un miliardo di persone non ha accesso diretto all'acqua dolce. Senza dimenticare i fenomeni di siccità che a causa del riscaldamento globale sono sempre più diffusi, anche in Italia.
Il problema principale dei dissalatori tradizionali, che sono ben 18mila in 150 Paesi, risiede nel fatto che hanno un fabbisogno energetico particolarmente elevato. Esso è legato al processo di ebollizione dell'acqua salata per ottenere il vapore acqueo, che viene raccolto e indirizzato verso un condensatore. In impianti di questo tipo metà dei costi è proprio legato all'energia necessaria per mantenerli. Negli ultimi anni si stanno sperimentando dissalatori diversi con membrane semipermeabili che permettono la separazione dell'acqua salata da quella dolce, e sebbene presentino problemi di efficienza e ingombro, proprio da prototipi come questi sono partiti i ricercatori dell'ateneo americano, coordinati dalla dottoressa Naomi Halas.
Il segreto del NESMD, sviluppato dagli esperti del Center for Nanotechnology Enabled Water Treatment (NEWT) della Rice University, risiede nella nanotecnologia; la membrana responsabile della separazione, fatta di un polimero poroso, è infatti arricchita con nanoparticelle ingegnerizzate in grado di trasformare l'energia solare in calore. L'efficienza sperimentale del dispositivo è calcolata in 6 litri d'acqua all'ora per ogni metro quadrato di pannello solare, una valore che, spiegano i ricercatori, potrà essere ulteriormente perfezionato e adattato alle singole esigenze, anche quelle domestiche. I dettagli sono stati pubblicati sulla rivista scientifica PNAS.
[Foto di Jeff Fitlow/Rice University]